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Quando qualcuno mi chiede della mia regione, una delle poche certezze che ho sempre avuto è quella che fosse una terra ancora genuina e tranquilla, anche troppo, forse, per un ragazzo di vent’anni come me.

Ebbene, nel giro di un anno e mezzo, invece, mi sono ritrovato a scrivere di due fatti incresciosi come quello di Fermo e questo – che spero sia l’ultimo – di Macerata.

Come per Emmanuel, ho preferito non intervenire subito, anche perché, come affermava Wisława Szymborska, davanti a certi avvenimenti non possiamo far altro che osservare e non poter dare l’ultima parola.

E non è certo l’ultima, ma semmai la prima (uno spunto di riflessione), la parola che vorrei darvi. Come faccio ormai da qualche tempo, ho preferito concentrarmi sulla mia rubrica cinematografica. Il destino ha voluto (o il tempismo dei produttori?) che nelle sale italiane sia in programma, proprio in questi giorni, Sono Tornato di Luca Miniero, remake del film tedesco Lui è tornato (2015), che a suo tempo mi aveva molto colpito. Avrete già capito, credo, che stiamo parlando di Benito Mussolini e Adolf Hitler.

Un’opera senza dubbio all’altezza del suo modello, in cui emerge l’ottima e tagliente sceneggiatura di Miniero e Nicola Guaglianone, oltre alla convincente prova di Massimo Popolizio, un attore plasmato, a teatro, da un certo Luca Ronconi.

Un film in cui lo spettatore esce dalla sala sentendosi una merda, dopo aver riso per più di un’ora; dove finisce per riconoscersi in ciò che pensava di non essere, ed invece è, o magari vorrebbe essere, più o meno inconsciamente. Un film in cui Mussolini, redivivo, coglie con estrema intelligenza (come fece allora) un vuoto ideologico sul quale fondare il suo successo politico, la sua fascinazione machista e virile – che tanto piacque non solo agli uomini, ma anche alle donne del ventennio.

E, a differenza di allora, oggi non abbiamo più alcuna ideologia da contrapporre a quella fascista – che era, è doveroso riconoscerlo, non una trovata contingente e casuale, ma una vera e propria visione del mondo: abbiamo voluto infrangere ogni fede, religiosa o politica che fosse, senza saperla sostituire poi con altri valori, se non quello – che valore non è – del Consumismo.

Ed è proprio da qui che nasce il razzismo che ha mosso Luca Traini, che non è un razzismo etnico (come forse non lo è mai stato nella storia dell’uomo), ma sempre e comunque un razzismo economico e sociale, che determina inevitabilmente delle gerarchie, dove chi è già in una posizione subalterna prova istinti razziali solo nei confronti di chi sta messo peggio di lui, in un’endemica guerra tra poveri.

Sono abbastanza sicuro che quel ragazzo non ha mai provato un odio simile nei confronti di Samuel Eto’o o LeBron James, ad esempio. E sapete perché? Perché hanno più soldi di lui, e quindi sono da ammirare, semmai. Tutto qui.

Rimane difficile capire, altrimenti, perché un “patriota” (che patriota ha dimostrato di non essere) spari casualmente a delle persone di colore che non gli hanno fatto niente, piuttosto che a quei politici (come invece avrebbe fatto un terrorista anarchico) che egli reputa responsabili di “quest’invasione di clandestini”.

La violenza e l’odio razziale sono sempre rivolti verso il basso, nei confronti del ceto economicamente e socialmente subalterno: un aspetto – questo sì – tipicamente fascista.

La colpa, come anche la soluzione, spetta alla Politica, ancora una volta: aver avvelenato i pozzi del dibattito è una grande responsabilità dell’attuale classe dirigente, che si permette persino, come nel caso di Calderoli, di chiamare “orango” una sua collega, perché di colore; o, come nel caso di Matteo Salvini, di parlare di “pulizia di massa” e di “maniere forti” aspirando persino al governo del Paese.

I politici “moderati”, se così vogliamo chiamarli, hanno d’altra parte le loro colpe, avendo reso credibili e acclamate figure del genere: avvoltoi nati dalle ceneri dei fallimenti della politica, che abbaiano senza mordere, forse, ma continuano comunque a soffiare sul fuoco dell’odio per puro tornaconto elettorale.

Una colpa che Pier Paolo Pasolini, il 24 giugno 1974, aveva descritto con queste parole:
«E non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che quando uno di quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non era che un gesto, immotivato e irrazionale: sarebbe bastata forse una sola parola perché ciò non accadesse. Ma nessuno di noi ha parlato con loro e a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. E magari erano degli adolescenti e delle adolescenti diciottenni, che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell’orrenda avventura per semplice disperazione».

Dobbiamo fare in modo che l’unica parola che arrivi non sia quella dell’odio: per farlo tutti noi dovremmo andare a vedere Sono Tornato di Luca Miniero e, soprattutto, esercitare il nostro diritto-dovere di votare, poi, il 4 marzo.

Edoardo Bassetti

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