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“I Signori del Calcio”: la differenza abissale tra i top club e il calcio di provincia romagnolo

Il calcio contemporaneo, molto più che in passato, ruota intorno al denaro. I magnati dell’economia internazionale sono in grado di spostare non soltanto gli equilibri all’interno di un campionato, ma anche di portare alla ribalta competizioni che fino a poco tempo fa erano secondarie tanto agli occhi degli appassionati, quanto a quelli dei calciatori. Il caso della Ligue 1, in tal senso, è emblematico.

La Serie A, negli scorsi decenni considerato il campionato più bello del mondo, sembra adesso arrancare sotto la pressione degli investimenti esteri, e l’arrivo dei cinesi a Milano, in ambo le sponde del Naviglio, appare all’orizzonte come un possibile fattore di controtendenza. Infatti, un’indagine sulle sei migliori leghe d’Europa realizzata da Bwin, relativa alla stagione 2015/16, interviene a gamba tesa sulle difficoltà attraversate dal calcio nostrano.

La Serie A realizza un’affluenza media di 22634 spettatori a partita, meno di 2000 in più rispetto alla Ligue 1, da sempre etichettata semplicemente come “palestra d’Europa” e nulla più. Il distacco rispetto alla Bundesliga (43310), alla Premier League (36449) e alla Liga (28529) è mortificante. Il dato risulta ancora più pesante se confrontato a quello della capienza media degli stadi, che in Italia supera i 41000 posti, 10000 in più rispetto agli stadi francesi, e dietro solo alla Bundesliga. Il tutto esaurito, invece, ci vede dietro anche alla Pro League belga. Solo nel 55% dei casi non si registrano vuoti, contro il 66% della Ligue 1, il 73% della Liga, il 92% della Bundesliga e il 94% della Premier.

La situazione migliora leggermente se guardiamo i dati meramente economici, ma rispetto alla Liga e alla Premier, la Serie A rimane distante. 35 mln sono i soldi spesi nella campagna trasferimenti della stagione 2015/16, una cifra irrisoria se confrontata con i 118 mln della Liga e i 631 mln della Premier.

Altrettanto interessante analizzare il gap tra la massima serie italiana ed i campionati inferiori. Il valore attuale delle rose delle 20 squadre di Serie A è pari a 3,1 mld, con una media di 4,87 mln a calciatore. La Serie B raggiunge i 266 mln complessivi, pari a 425.000€ a calciatore. Il girone A della Lega Pro ottiene una discreta cifra del valore medio, toccando i 132.000€, più o meno quanto gli altri gironi. Dietro, il deserto. Il girone D della Serie D, nella quale ha militato il Ravenna (promosso al termine della stagione), arriva soltanto a 40.000€ di valore medio deI calciatori, un terzo della League Two inglese, e meno anche delle leghe regionali tedesche.

I dati citati, combinati con i risultati ottenuti nelle competizioni europee, testimoniano come il fattore economico risulti essere nettamente prevalente anche di fronte alla disponibilità di tesserati offerti dalla densità demografica. Ravenna, come testimonia un articolo pubblicato recentemente sul nostro quotidiano, con i suoi 159.000 abitanti, è il terzo comune in Italia tra quelli che non hanno mai avuto una squadra in Serie A. Rimini (148.000), promosso in Serie D, segue a ruota, e Forlì (117.000) chiude la top ten. E’ davvero singolare pensare che realtà decisamente più piccole come Frosinone (46.000), Empoli (48.000) o Crotone (63.000) abbiano assaporato la gioia della massima serie, e città con il doppio o il triplo di abitanti non abbiano quasi mai avuto nemmeno la possibilità di sognarla.

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