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Sicurezza antiterrorismo, cosa facciamo e cosa dovremmo fare

Dopo l’attentato terroristico delle Ramblas, i Sindaci del territorio sono stati “attenzionati” anche attraverso la convocazione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza.

Seguo questi temi come Sindaco delegato provinciale. La minaccia terroristica alla sicurezza urbana non è un fenomeno temporaneo, circoscritto e dovuto alla casualità del momento. E’ un fenomeno globale, destinato a durare nel tempo e con precise motivazioni che muovono i terroristi nell’individuazione dei bersagli e delle tecniche di assalto. Le puntuali direttive ministeriali, ancorché rigide e di non semplice attuazione, servono a prevenire situazioni emergenziali, nell’ambito degli eventi programmati e circoscritti, ma da sole non sono sufficienti ad evitare i rischi. Le condizioni di rischio posso verificarsi più facilmente nelle situazioni meno organizzate e controllate, come piazze o locali pubblici adiacenti a vie di scorrimento veloce e accessibili a chiunque, ed in qualunque momento. I terroristi non sono ragazzi appena scesi dai barconi, ma di terza generazione, dotati di passaporto, che conoscono e frequentano il territorio. Con le loro azioni colpiscono i luoghi simbolo del divertimento occidentale, da loro tanto odiato. Il territorio riminese ha in se impresso un “marchio” con queste caratteristiche e non si può considerare immune da attacchi, anche se, grazie alla professionalità delle forze dell’ordine, risulta già essere oggi fra i territori più sicuri al mondo.

Sono quattro gli ambiti di intervento su cui la comunità deve concentrare l’azione di contrasto del crimine terroristico:

  1. Soluzioni tecniche strutturali a difesa delle aree a rischio. Le gestioni dell’interdizione al traffico, delle barriere di antisfondamento e di segnalazione delle vie di fuga, fatta di volta in volta cose si fa oggi, comporta un dispendio di energie e di risorse finanziarie che, nonostante la compartecipazione delle proloco e delle associazioni turistiche, grava fortemente sugli enti locali. Bisogna cominciare a ragionare su come rendere strutturali queste difese, inserendone la previsione nei piani di riqualificazione urbana, dove, insieme alle panchine e alle fontane, devono cominciare a comparire barriere a scomparsa e segnaletica di evacuazione. L’acquisizione delle risorse strutturali non potrà che passare attraverso la canalizzazione dei finanziamenti europei e regionali.
  2. Sviluppo del controllo democratico del territorio. Oltre ad illuminare e far vivere le zone marginali delle nostre città, occorre sviluppare il senso civico e l’attenzione per il controllo e l’autocontrollo democratico del territorio e del quartiere in cui si vive. Nei comuni del nostro territorio si registrano continui flussi di mobilità delle persone che non sono più così radicate come un tempo. Il grado di conoscenza e frequentazione si è notevolmente affievolito. Viviamo città sconosciute. Vanno sviluppate la socializzazione, le relazioni, le conoscenze, vanno monitorate e segnalate le criticità.
  3. Piani locali di gestione di una emergenza antiterroristica. Ogni nostro comune è dotato di un piano di emergenza comunale o intercomunale di protezione civile, per fare fronte ad una criticità idrogeologica o ad un terremoto. Non si vede perché non potrebbero essere predisposti anche piani di emergenza terroristica, utili a pianificare la logistica ed a formare la comunità a comportamenti adeguati nei casi di eventi terroristici, di autodifesa, di difesa e di gestione del panico.
  4. Formazione culturale. La prevenzione passa soprattutto attraverso l’istruzione e la cultura. E’ utile programmare interventi formativi, indirizzati alla scuola e alle giovani generazioni, sui temi delle diversità, dell’integrazione, della tolleranza, ma anche sulla capacità di affrontare situazioni particolari in sicurezza per se e per gli altri.

In conclusione la sicurezza urbana si garantisce con una buona direttiva ministeriale, ma soprattutto con buone azioni di comunità.

Riziero Santi

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