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“Serve un nuovo Pd più coraggioso e riconoscibile”

Non mi è facile districarmi fra i temi del congresso del Pd alle porte. Spero sia utile la conferenza programmatica che lo precede. Non mi convincono le semplificazioni correntizie del “dimmi con chi stai e ti dirò chi sei”. Sento il bisogno di andare a fondo, di mettere a fuoco l’oggetto (politico) del contendere, di trovare il bandolo della matassa.

Quando sono diventato comunista (F. Piccolo: “Il desiderio di essere come tutti” – ed. Einaudi) il tema forte era quello di raggiungere un compromesso (storico) per consolidare la democrazia e battere le forze reazionarie ed il terrorismo. Oggi il tema forte è quello di arginare i populismi ed i neoprotezionismi, e seppellire le paure. Oggettivamente molto più complicato ed indefinito. Per chiunque, e ancora di più per la sinistra.

Quando sono diventato comunista si facevano le grandi battaglie di opposizione: sulla questione sociale (il lavoro, la scuola, le donne), sulla questione morale, sulla riforma del sistema. Oggi …. non si fanno battaglie.

Quando sono diventato comunista si faceva l’Europa. Oggi il problema sembra essere l’Europa.

Quando sono diventato comunista si facevano i congressi per Tesi, adesso si fanno per affermare le leadership personali.

Forse si tratta di ripartire da qui, dai grandi temi, dal ruolo del partito, dalle battaglie. Non sono un nostalgico, tuttavia penso che i partiti abbiano un ruolo ben preciso di mediazione fra la società e le istituzioni. Un ruolo che dovrebbe essere pienamente riconosciuto, attuando finalmente il dettato costituzionale.

Certo, le cose sono cambiate radicalmente, ma il Pd se vuole sopravvivere deve tornare a suscitare emozioni forti, e non nel sostegno a questo o a quel candidato alle primarie. Per suscitare interesse e curiosità, soprattutto nei giovani, è troppo generico definirlo “il partito della giustizia e delle opportunità”. Le parole sono importanti, come dice Renzi quando, per lanciare il suo programma, usa parole come “lavoro”, “casa”, “mamme”. Tuttavia le parole, e quindi i programmi, debbono diventare patrimonio di tutti e di tutte e non delle classi dirigenti ristrette, perché altrimenti andrà sempre a finire come col referendum del 4 dicembre 2017.

Tornando al bandolo della matassa, oggi – che comunista non lo sono più da tempo – più che nel partito credo di averlo trovato nella mia esperienza di Sindaco, costretto a misurarmi ogni giorno con la concretezza del fare e del dare risposte, giorno per giorno. Da qui la consapevolezza, condivisa con tanti miei colleghi, della necessità di un cambiamento di passo, di modifiche radicali di sistema che consentano di uscire dall’immobilismo.

Mi ritrovo in quello che hanno scritto di recente i colleghi dei comuni capoluogo della Romagna. In particolare laddove indicano la necessità di un nuovo Pd capace di aprirsi e di ascoltare ed essere interlocutore delle istanze di pezzi nuovi di una società in epocale mutamento. Come dicevo, oggi uno dei temi forti è l’argine da anteporre ai populismi, ai neoprotezionismi e alle paure, che trovano consensi sia a destra che a sinistra. In questa purtroppo non c’è più una grande differenza fra destra e sinistra. E’ vero quindi che o il progetto del Pd è radicale, innovativo e determinato, oppure il Pd lascia il campo ad altri. La radicalità e la determinazione nell’amministrare comunità, anche piccole, vuol dire costruirsi una identità ed essere riconoscibili. Perché altrimenti uno dovrebbe votare Pd!? In tutto questo trovo tanta affinità anche con la nostra esperienza locale.

Troppo spesso abbiamo balbettato, troppo spesso siamo tornati sui nostri passi, troppo spesso abbiamo lasciato dire e fare, o ci siamo fatti guidare dagli opportunismi. Ci vuole più coraggio, nei processi di semplificazione, di aggregazione, di integrazione. Occorre coinvolgere le persone e le comunità, anche con una maggiore dose di democrazia diretta. Lo Stato da solo non ce la fa più, ci vogliono un sistema e un welfare di comunità. Ci vuole integrazione e severità nell’integrazione, senza complessi di colpa. Occorre rilanciare il modello emiliano romagnolo su scala locale e nazionale, fatto di sussidiarietà orizzontale e verticale, di gestioni associate dei servizi, di non spreco delle risorse, di tutela e di consumo zero del territorio, di politiche di incentivazione della mobilità lenta e di trasporto pubblico.

Credo sia questo il bandolo della matassa.

Riziero Santi

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