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Sentenza spiagge: “Bagnini scordatevi indennizzi per investimenti fatti dopo il 2010”

Anticipare l’esito di una sentenza è sempre azzardato ma, a parere di scrive, è estremante  difficile che il Consiglio di Stato, stando ai suoi precedenti pronunciamenti e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte Costituzionale si distacchi da quanto da esso sostenuto, quanto meno in ordine al primo quesito sulla doverosità da parte della P.A. di disapplicare la disciplina nazionale in contrasto con quella eurounitaria, che è il tema dirimente e principale al vaglio della Plenaria.

Questa era la chiosa finale con la quale concludevo il precedente articolo pubblicato su Chiamamicittà il 13 Ottobre scorso https://archivio.chiamamicitta.it/concessioni-balneari-il-consiglio-di-stato-decidera-sulla-proroga-al-2033/ in previsione dell’udienza dell’ Adunanza Plenaria convocata da Presidente Filippo Patroni Griffi con decreto del 24 Maggio. Nel contenuto dell’articolo avevo anche sottolineato che “In ogni caso, quello che interesserà alla pubblica opinione della decisione alla cognizione dell’Adunanza Plenaria di mercoledì 20 Ottobre sarà il modo con il quale il Consiglio di Stato eserciterà per l’ennesima volta “la funzione suppletiva” alla totale inerzia ed incapacità della politica (legislatore) di affrontare la materia delle concessioni demaniali. L’ obiettivo è tanto ambizioso quanto palese: imprimere una svolta nella vicenda con lo scopo principale di orientare l’ attività della P.A. in modo che, almeno dal potere giudiziario, viste le lacune e l’ inaffidabilità in cui versano sia l’ esecutivo che il legislativo, vi possa essere una qualche certezza in più per il cittadino-imprenditore che vede rimettersi non solo la tutela, ma anche la conoscenza preventiva, della propria posizione giuridica esclusivamente nella mani del giudice amministrativo e solo nel momento in cui chiede giustizia”.

Le 50 pagine della sentenza del  9 Novembre dell’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato  (rectius le due sentenze n.17-18 /2021) non solo rappresentano una “summa giuridica”, una sorta di trattato breve euro-demaniale, in tema di concessioni  marittime a scopo turistico ricreativo, in quanto ripercorrono l’evoluzione normativa-giurisprudenziale  italiana ed unionale addirittura ante Bolkestein, ma forniscono anche quelle fondamentali e preziose indicazioni al legislatore su come (e quando) legiferare in materia di riordino della materia. Si tratta di quei suggerimenti che la Plenaria ha attinto dalla elaborazione giurisprudenziale a cui accennavo e che si possono facilmente ritrovare nelle motivazioni delle numerose precedenti sentenze dei giudici di Palazzo Spada che si sono occupati del tema concessioni. Niente di nuovo sotto il sole anche se, come sempre è accaduto quando i concessionari subiscono sentenze sfavorevoli ai loro interessi, è immediatamente partita la “campagna mediatica propagandista” all’ urlo de: il Consiglio di Stato è andato oltre ai sui compiti….. è solo politica…ha interferito con un altro potere dello Stato……Palazzo Spada sede di burocrati e basta”. Una noiosa e petulante litania del tutto gratuita e già conosciuta in occasione della sentenza della Corte di Giustizia U.E. del 14 Luglio 2016 (C-458/14 e C-67/15) e della sentenza del Consiglio di Stato del 18.11.2019 n. 7874, che a pieno titolo possono considerarsi le due sentenze spartiacque a tutta la produzione giurisprudenziale che ne è seguita e fino alle due sentenze della Plenaria in commento.

Non riprenderemo tutto quanto “in diritto” ripercorso e motivato dalle due sentenze gemelle in quanto si tratta degli stessi argomenti consolidati e già trattati in occasione di precedenti commenti. Mi limito solo ad una considerazione di politica “giurisdizionale” che già avevo introdotto nell’artico del 13 Ottobre quando riportavo il giudizio di un giurista che “bollava” come “eccentriche ed intrise di protagonismo giudiziario”, le sentenze del TAR Lecce n.71-75 del 2021. Ritengo che la Sentenza N. 18 della Adunanza Plenaria, cioè quella che entra nel merito proprio del gravame proposto dal Comune di Lecce contro una di quelle sentenze e cioè la n. 73, abbia fatto “scendere il giudicato” quanto meno su quel “protagonismo giudiziario” smontando, direi più che altro demolendo, tutte le considerazioni giuridiche, fantasiose e non pertinenti al caso in esame, dedotte dai giudicanti salentini.

Quello che veramente rileva della pronuncia in commento è la chiarezza mostrata nella redazione delle risposte ai tre quesiti demandati dal Presidente e soprattutto l’autorevolezza del “suggerimento” euro-orientato al legislatore nel momento in cui quest’ultimo, nella sua cornice di discrezionalità (in questo caso assai ristretta se non vuole ricadere ancora in una euro-incompatibilità) dovrà con la legge di riordino legiferare in materia.

Andiamo a vedere in sintesi questi passaggi iniziando dalle risposte ai quesiti:

  • Quesito n. 1. “L’Adunanza plenaria ritiene che l’obbligo di non applicare la legge anticomunitaria gravi in capo all’apparato amministrativo, anche nei casi in cui il contrasto riguardi una direttiva self-executing”. Quindi tutti i soggetti dell’ordinamento compresi gli organi amministrativi e cioè gli enti territoriali e i propri organi e non solo i giudici, devono riconoscere come diritto legittimo e vincolante le norme comunitarie, non applicando le norme nazionali contrastanti. Che succederà adesso ai quei comuni costieri che, invece, con gli “atti ricognitori” hanno apposto il famoso “timbro” di accertamento dell’avvenuto pagamento all’ Ufficio delle Entrate della tassa di registro fino al 31.12.2033 applicando ( e non disapplicando come avrebbero invece dovuto fare) la L. 145 del 2018 e creando così un “affidamento” ai concessionari che non aspettavano altro? Attenzione la questione si presenta delicata in quanto l’Adunanza Plenaria non ha inventato nulla per il semplice fatto che si è riportata, confermandoli, agli stessi principi sanciti dalla Corte di Giustizia e del Consiglio di Stato rispettivamente del 2016 e del 2019 a cui accennavo sopra; questo vuol dire che molti comuni in sede di “timbro” di rinnovo erano a conoscenza del loro dovere (inadempiuto) di non applicazione della proroga al 2033 e, nonostante ciò, hanno “timbrato”. Il Comune di Rimini, per esempio,  non solo aveva ricevuto diffide formali in tal senso (“non emanare atti ricognitori che sono illegittimi in quanto hai il dovere di non applicare la proroga al 2033”) anche dal sottoscritto https://archivio.chiamamicitta.it/proroga-concessioni-di-spiaggia-roberto-biagini-co-na-ma-l-diffida-il-comune/,  ma è stato anche chiamato in giudizio avanti al TAR dall’ AGCM che ha impugnato gli ricognitori rilasciati nel 2020  fino al 2033 di tutte le concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo all’ esito dell’ apertura di procedimento di infrazione dovuto. Il Comune di Rimini aveva “la conoscenza legale” del contrasto con il diritto euro-unionale della proroga al 2033 (e di conseguenza dell’obbligo di disapplicare) ma, nonostante ciò, è andato avanti. È chiaro che qualsiasi esborso restitutorio, se e quando dovesse essere richiesto all’ente da chicchessia, non dovrà gravare certamente su tutta la comunità.
  • Quesito n. 2. “L’Adunanza plenaria ritiene che l’atto di proroga sia un atto meramente ricognitivo di un effetto prodotto automaticamente dalla legge e quindi alla stessa direttamente riconducibile (così la sentenza Cons. St., sez. VI, 18 novembre 2019 n. 7874). Seguendo questa impostazione se la proroga è direttamente disposta per legge ma la relativa norma che la prevede non poteva e non può essere applicata perché in contrasto con il diritto dell’Unione, ne discende, allora, che l’effetto della proroga deve considerarsi tamquam non esset, come se non si fosse mai prodotto. La conseguenza di tutto ciò secondo la Plenaria è che “l’Amministrazione deve provvedere, comunque, a rendere pubblica l’inconsistenza oggettiva dell’atto ricognitivo eventualmente già adottato e di comunicarla al soggetto cui è stato rilasciato detto atto”. In buona sostanza i comuni, Rimini, compreso hanno l’obbligo di informare tutti i concessionari che quello che hanno in mano non vale nulla. Vale quanto sopra per le possibili conseguenze “erariali” di tali comportamenti. Analoghe considerazioni valgono anche nei casi in cui sia intervenuto un giudicato favorevole al concessionario demaniale in un eventuale giudizio dove fosse stato parte processuale.
  • Quesito n.3. “La moratoria emergenziale prevista dall’art. 182, co. 2, c.l. 34/2020 presenta profili di incompatibilità comunitaria del tutto analoghi a quelli fino ad ora evidenziati. Non è, infatti, seriamente sostenibile che la proroga delle concessioni sia funzionale al “contenimento delle conseguenze economiche prodotte dall’emergenza epidemiologica”. Notate bene: l’Adunanza Plenaria, motivando il favore per le pubbliche evidenze, ribalta completamente le motivazioni a cui si sono sempre attaccati i balneari per provare a giustificare il mantenimento dei propri privilegi in quanto riprende il contenuto della messa in mora della U.E del Dicembre 2020, sostenendo che “la reiterata proroga della durata delle concessioni balneari prevista dalla legislazione italiana scoraggia[…] gli investimenti in un settore chiave per l’economia italiana e che sta già risentendo in maniera acuta dell’impatto della pandemia da COVID-19. Scoraggiando gli investimenti nei servizi ricreativi e di turismo balneare, l’attuale legislazione italiana impedisce, piuttosto che incoraggiare, la modernizzazione di questa parte importante del settore turistico italiano. La modernizzazione è ulteriormente ostacolata dal fatto che la legislazione italiana rende di fatto impossibile l’ingresso sul mercato di nuovi ed innovatori fornitori di servizi”. Quindi sono le proroghe generalizzate e non le pubbliche evidenze e la competizione tra imprenditori del settore a scoraggiare gli investimenti.

“Gioco, partita, incontro”, direbbe il compianto Giampiero Galeazzi.

Concludo elencando brevemente i “suggerimenti euro-orientati” che il Consiglio di Stato invia non tanto timidamente alla “politica”.

  1. A) Siccome sono venuti meno gli effetti delle concessioni in conseguenza delle illegittime proroghe frutto di interventi normativi stratificatisi nel corso degli anni, ne deriva una situazione di sicura incertezza, che sarebbe ulteriormente alimentata se improvvisamente cessassero tutti i rapporti concessori in atto come conseguenza della immediata non applicazione della legge nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione. La Plenaria ritiene congruo un periodo di tempo sino al 31.12.2023 affinché il legislatore possa doverosamente adottare una normativa di riordino e disciplinare la materia in conformità con l’ordinamento comunitario il sistema di rilascio delle concessioni demaniali. In soldoni avete tempo due anni per preparare le procedure di pubblica evidenza e “scaduto tale termine, tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da sé via sia –o meno – un soggetto subentrante nella concessione”.
  2. B) Siccome però i giudici di Palazzo Spada conoscono bene l’inaffidabilità della nostra classe politica e la sua sensibilità alle lusinghe dei balneari, essi non mancano di ricordare  categoricamente che “ eventuali proroghe legislative del termine così individuato (al pari di ogni altra disciplina comunque diretta ad eludere gli obblighi comunitari) dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset,. È già tracciata la sorte dei tutti i provvedimenti-speranza invocati urbi et orbi dai balneari post sentenza.
  3. C) Per quanto riguarda il legittimo affidamento funzionale ad ammortizzare gli investimenti, invocato dalle associazioni dei balneari come panacea a tutti i mali, la Plenaria ricorda loro, anche qui senza timidezza alcuna, cosa prevede la Bolkestein e cioè che “gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni legate a motivi imperativi d’interesse generale”, precisando che si possa tenere conto di tali considerazioni “solo al momento di stabilire le regole della procedura di selezione dei candidati potenziali“ e che comunque è necessario al riguardo “una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti” (sentenza Promoimpresa). La Corte di Giustizia U.E. ha rinvenuto detta situazione rispetto a una concessione attribuita nel 1984, “quando non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza”. La giurisprudenza italiana  (Consiglio di Stato n. 7874 del 2019) applicando nelle sue pronunce tale principio ha stabilito la linea di demarcazione tra la buona e mala fede ( e quindi tra il legittimo e non legittimo affidamento ) alla data del 26 marzo 2010, quando con D.lgs. n. 59 è stata recepita la Direttiva Bolkestein nel nostro ordinamento Da quel momento in avanti siamo entrati in regime di “affidamento non tutelabile” per tutti gli investimenti. Quindi nessuna speranza di avere un euro di indennizzo per gli investimenti, se e come realizzati, per il giovane balenare riminese che ha acquistato la spiaggia un anno e mezzo fa quando era perfettamente a conoscenza (di fatto e di diritto) dell’ incompatibilità della proroga con le norme U.E. e quindi di essere abbondantemente  fuori dal periodo di tutela. Prima di prendersela con lo Stato farebbe bene a far due chiacchiere con i professionisti che lo hanno (malamente) rassicurato della bontà e sicurezza dell’acquisto.
  4. D) Bene inserire nei criteri di assegnazione, garantendo sempre la par condicio, la possibilità di valorizzare l’ esperienza professionale e il know-how acquisito da chi ha già svolto attività di gestione di beni analoghi (e, quindi, anche del concessionario uscente, ma a parità di condizioni con gli altri), anche tenendo conto della capacità di interazione del progetto con il complessivo sistema turistico-ricettivo del territorio locale; anche tale valorizzazione, peraltro, non potrà tradursi in una sorta di sostanziale preclusione all’accesso al settore di nuovi operatori.
  5. E) Per quanto riguarda la durata delle concessioni i suggerimenti del Consiglio di Stato indicano una previsione “limitata e giustificata sulla base di valutazioni tecniche, economiche e finanziarie, al fine di evitare la preclusione dell’accesso al mercato” con preferenza alla definizione normativa di un limite alla durata delle concessioni fissata poi in concreto “dall’amministrazione aggiudicatrice nel bando di gara in funzione dei servizi richiesti al concessionario.” Interessante anche la possibilità di modulazione in base anche agli investimenti effettuati.
  6. F) Positiva anche l’indicazione alle amministrazioni concedenti affinché esse “sfruttino appieno il reale valore del bene demaniale oggetto di concessione. In tal senso, sarebbe opportuno che anche la misura dei canoni concessori formi oggetto della procedura competitiva per la selezione dei concessionari, in modo tale che, all’esito, essa rifletta il reale valore economico e turistico del bene oggetto di affidamento”.

In conclusione, il Consiglio di Stato riunito in Adunanza Plenaria, nell’ adempimento della sua funzione “nomofilattica” richiestagli dal Presidente nel momento in cui gli ha demandato i tre quesiti per definire il principi di diritto da applicare poi in sede decisoria per gli appelli avverso le sentenze del TAR Catania (deciderà il Consiglio di  Giustizia Amministrativa per la  Regione Sicilia) e del TAR Lecce (deciderà la V sezione del Consiglio di Stato), con una summa giuridica della elaborazione giurisprudenziale degli ultimi anni in materia, ha messo la parola fine a quei tentativi maldestri che hanno provato (e proveranno ancora) a “raccontarla a modo loro”. Allo stesso tempo risultano utili ed interessanti i suggerimenti euro-orientati forniti al legislatore il quale, anche nell’esercizio della sua autonomia e piena discrezionalità di ruolo e funzione, dovrà in ogni caso tenerne conto se non si vuole ritornare ad una disapplicazione sistematica da parte dei giudici di quelle leggi che dovessero allontanarsene.

Roberto Biagini

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