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Se il primo maggio si torna a lavorare e il 25 aprile pure

Ricordo di esser stato molto colpito quando, tempo fa, ho casualmente appreso che gli operai/artigiani dell’alabastro rosso di Volterra, una pietra delicata, lucente ed elegante, lavoravano anche di domenica. Senza paga. Motivo? Fare un dispetto al papa-re e ai suoi preti. Infrangendo un gradito e consolidato precetto religioso per far dispetto a tutti loro! L’emotività derivata da questa “scoperta” è emersa con forza dal forziere della mia memoria. Alla vigilia di questo primo maggio. Appreso che il governo, guidato dalla sorella d’Italia, sarebbe stato in questo giorno al lavoro. Con paga. Per varare un decreto a favore  dei lavoratori.

Un altro fratello d’Italia, seconda carica istituzionale del nostro Paese, il 25 aprile, pur di non partecipare ai festeggiamenti della ricorrenza, se n’era andato in Cecoslavacchia per visitare la tomba di Jan Palach. Simbolo della resistenza antisovietica. Morale: anche lui quindi, a modo suo,  è andato a lavorare.

Questi i fatti. Che dire a commento di questi? Senza cedere alla sdegnosa emotività che dal di dentro bolle? La prendo alla larga. Per non smentire la mia cifra. Ieri,  30 aprile per chi legge, ho pubblicato la mia recensione all’ultimo libro di Capitani: Io. Giovanni Piccioni. Il più noto “brigante” marchigiano, soldato del papa-re e simbolo della resistenza antipiemontese.

C’è un filo rosso, neanche tanto sottile, che lega la storia del “brigante” a quella degli appartenenti a questo governo. E segnatamente ai fratelli e sorelle che lo compongono, sotto la fiamma rimasta inviolata del loro simbolo. Primo maggio e 25 aprile non fanno parte della loro Storia. Inutile girarci attorno: per i “briganti” e per i fratelli e sorelle d’Italia questa è la Storia scritta dai vincitori, piemontesi o partigiani che siano. Non la loro!

Dunque alla radice delle querelle su primo maggio e 25 aprile sta la mancanza di una comune condivisione delle nostre altrettante comuni radici. Di quella memoria che se  non condivisa mina la nostra identità nazionale. Con il risultato che questo comporta: impedire all’Italia di essere una democrazia compiuta! Con ciò intendendo di essere una democrazia normale. Nella quale ci sia rispetto nella differenza delle idee di chi politicamente la pensi diversamente.  Il che comporta  una conseguenza desolante quanto reale: non abbiamo ancora fatto i conti con la Storia. Né con quella risorgimentale, figuriamoci con quella “recente”.

Che fare in assenza di questo dato che pesa come un macigno sul nostro futuro? Per quanto mi riguarda ho le idee chiare. Continuare a “fare politica” mettendo in campo le mie esperienze di vita e le  competenze di insegnante. Senza sottrarmi ad eventuali revisionismi motivate da una seria ricerca storica basata sulla condivisione delle fonti. Che nulla ha a che fare con il negazionismo dei campi di sterminio o le puttanate dei musicisti attempati di via Rasella.

Nella speranza che questo sia di aiuto a tutti. Anche a chi politicamente la pensa diversamente. Ma sia pronto a riflettere e camminare seriamente lungo questo percorso.

Buon 1° maggio!

Giorgio Grossi

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