Il coordinamento delle associazioni Fondazione Cetacea Onlus, WWF, Ampana e di Legambiente Valmarecchia interviene sulla giornata di mobilitazione per l’ambiente.
“Chiamata a raccolta dall’appello della giovanissima attivista svedese Greta Thunberg, la gioventù mondiale si sta mobilitando per dar vita, venerdì prossimo, ad uno sciopero di protesta contro la spettacolare inerzia e l’indifferenza delle Istituzioni politiche e di Governo di fronte ai Grandi cambiamenti climatici in corso . Una minaccia corrosiva, questa, che già incombe sul nostro presente, prossima a divenire devastante in un futuro non lontano. Lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento dei mari, le bombe d’acqua e le inondazioni, il dissesto idrogeologico, le plastiche che ci sommergono, squilibri sociali divenuti intollerabili e movimenti migratori di portata epocale, la siccità, la crisi della risorsa idrica, tutto ormai esce dalla narrazione ed entra direttamente nella nostra vita. Ci riguarda da vicino, ci “tocca” e ci interroga ogni giorno di più.
Non c’è più tempo, qualche voce ammonisce dicendo che non basta più parlare o denunciare, bisogna fare, prevenire.
Bene. Noi del Coordinamento stiamo concretamente lavorando per fare e cambiare alcune cose. Da più di un anno ci stiamo attivando con azioni simboliche per ripulire dai rifiuti i fiumi ed il mare, ultimamente anche con il concorso dei pescatori.
Abbiamo “vestito” gli alberi dei parchi cittadini e dato loro voce per ricordare a tutti il prezioso servizio che svolgono nel tutelare la qualità dell’aria e la salute dei cittadini, ottenendo così la modifica di un tracciato indispensabile al compimento del PSBO e riducendo al minimo gli abbattimenti previsti.
L’attenzione pubblica suscitata in tale occasione ci induce a rilanciare un altro urgentissimo tema su cui ci stiamo concretamente battendo da oltre un anno in diversi tavoli istituzionali, a livello locale e regionale: quello del Riuso dell’acqua.
In questi giorni leggiamo sui giornali interventi a raffica su come affrontare l’incubo siccità. La ricetta proposta dai soliti noti è sempre la stessa: più invasi e più CER. Nessuno invece sembra farsi carico di voler dare attuazione a quanto previsto da normative precise e stringenti, contenute nelle più importanti e fondamentali leggi nazionali e regionali preposte alla tutela dell’Ambiente e della risorsa idrica (il Dlgs. N.152/2006, noto come Testo Unico Ambientale; il Piano Regionale di Gestione delle Acque 2015-21; Il Piano di Tutela delle Acque; il Decreto Ministeriale N.185/2003). Ebbene, in questi contesti si afferma in maniera inequivocabile e categorica come sia necessario programmare e progettare il riutilizzo a scopo irriguo della risorsa idrica, laddove siano attivi impianti di depurazione a membrana e di affinamento delle acque reflue. In realtà abbiamo appurato anche recentemente che esiste ormai da diversi anni un interessante progetto per il riuso delle acque depurate dalla nuova linea del Depuratore di S. Giustina ( oltre 47.597 m3/die ), con pompaggio a monte delle stesse fin quasi all’altezza di Villa Verucchio, e loro rilascio, previa ulteriore fitodepurazione e desalinizzazione, nel Marecchia o stoccaggio nei bacini di cava. Ma è rimasto tuttora lettera morta: ci chiediamo perchè e chi abbia stabilito che le priorità dovessero essere altre.
Eppure, come detto, la RER prevede l’obbligo da parte di ATERSIR, insieme al Gestore (Hera qui da noi), al Consorzio di Bonifica ed agli Enti Pubblici Territoriali coinvolti, di predisporre i “Piani di riutilizzo” a scopo irriguo.
Sulla base del già citato D.n.185/2003, il PTA iindividua nella nostra Regione ventiquattro impianti, ritenuti “idonei a portare le acque reflue urbane depurate al recupero per il riutilizzo irriguo”. Naturalmente dopo affinamento, filtrazione e disinfezione delle stesse, per renderle conformi a valori massimi ancor più restrittivi di quelli normalmente tollerati per gli inquinanti presenti nelle acque di superficie .
Guarda caso, l’impianto di Rimini-Santa Giustina spicca sulle tavole allegate al PTA per essere in quarta posizione, con la sua capacità di restituzione pari ad una portata di 47.597 m3/giorno.
Sono tante le ragioni che rendono non più procrastinabile il riciclo dell’acqua. In primo luogo l’uso sostenibile della risorsa, che significa garantirne la rigenerazione in falda, soprattutto lungo i 17 km. della conoide del Marecchia, scongiurandone il prosciugamento, come invece avviene ormai sistematicamente ogni anno in superficie. Vi è poi la necessità, prescritta dalla legge, di tutelare le acque fluviali come bene ambientale e paesaggistico. Sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo, anche tramite il rispetto del Deflusso Minimo Vitale, ovvero ponendo rigorosi limiti alle derivazioni in superficie ed agli attingimenti in falda, soprattutto là dove è possibile il riutilizzo delle acque reflue depurate (come da noi!).
Ed ancora, vi è l’urgenza di chiudere il ciclo integrato dell’acqua, nel quadro dell’economia circolare ed a fronte del fenomeno sempre più frequente di stress da approvvigionamento idrico, con gravissimi disagi per l’agricoltura e l’uso potabile.
In fine, vanno tenuti in dovuto conto la tutela stessa del territorio e del profilo costiero, sempre più minacciati dall’ingressione in profondità del cuneo salino, a causa dell’impoverimento della falda.
Giusto un anno fa abbiamo lavorato su un nostro documento “Per il Riuso dell’acqua”, inviato alla Regione Emilia Romagna ed a tutti gli Attori Istituzionali chiamati a dare una risposta a questo problema, come previsto dalle norme di legge. Abbiamo chiesto intervento decisi ed una presa di posizione pubblica Adesso non c’è più tempo da perdere. Lo si tiri fuori e lo si perfezioni quel benedetto Progetto istituzionale sotterraneo che circola ormai da anni fra gli addetti ai lavori nelle sue varie declinazioni, lo si renda pubblico, chiamando esperti, tecnici, amministratori cittadini ed agricoltori a confronto perché tutti si rendano consapevoli e protagonisti di un cambiamento necessario e vitale. Lo si faccia subito. Lo abbiamo chiesto anche in un recente incontro con autorevoli esponenti di Romagna Acque. Ci è stato ribadito che Il progetto c’è. C’è anche la disponibilità a discuterne per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica, gli agricoltori in particolare modo. Si possono ottenere acque depurate con valori simili a quelli delle acque fluenti di superficie. Addirittura migliori. Manca ancora una seria volontà politica, manca il centro motore e promotore, manca un’intesa urgente sulla ripartizione dei costi iniziali e di gestione. Gli invasi se necessari verranno dopo, perché se non piove c’è ben poco da stoccare. Intanto però un dato significativo ed allarmante:“Nel mese di gennaio 2019 nella provincia di Rimini si sono consumati 2.299.633 metri cubi d’acqua. Di questi Ridracoli ne ha forniti 775.875 pari al 33,74 %, le fonti locali (falde) 1.523.758 mc, cioè il 66,26 %”[Chiamamicittà 11.03.2019]. Se non si provvede c’e il rischio di un danno enorme all’ambiente, all’agricoltura, al Paesaggio, all’economia.
Certo, sono importanti gli stili di vita individuali e collettivi, ma la responsabilità prima e più grande è delle Istituzioni deputate al Governo del Ciclo integrato dell’acqua. Le determine dirigenziali, con le deroghe che le vanificano, sono inutili palliativi che non convincono più nessuno. Vanno fatte scelte drastiche, in conformità a quanto prescritto dalle Linee Guida della RER e PTA. I tempi sono maturi. Anzi, come dimostrano alcune realtà regionali più avanti di noi, ad esempio Reggio Emilia, sono già passati.”