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Sapesse il Vikingo cosa succede in Scandinavia

Sarebbe bello che Lando Buzzanca, protagonista nel 1971 del film Il vichingo venuto dal Sud, facesse causa a David Fabbri, il “Vikingo” venuto dallo spogliarello. Forse dovrebbero citarlo per diffamazione anche gli autori della serie The Vikings e pure qualche vichingo sopravvissuto ai nostri giorni (pare che sulla costa meridionale della Svezia, nel villaggio di Foteviken, esista ancora una piccola comunità tornata allo stile di vita dei progenitori, eccettuata la pessima abitudine di razziare e massacrare i paesi vicini).

Il Fabbri, maturo ex-stripper forlivese che si fa chiamare Vikingo perché «mix fra Beppe Maniglia e la buonanima di Zanza» sarebbe troppo lungo, non solca audacemente i mari in cerca di bottino, si limita a scorrazzare in Romagna a caccia di notorietà con sparate violente a sfondo fascista, razzista e omofobo, tipo lanci di banane contro il ministro Kyenge e affissione abusiva a Rimini di manifestini pro-zio Benito (oltre alle presunte ascendenze scandinave, Fabbri vanta parentele mussoliniane).

Probabilmente l’unica razzia il Vikingo l’ha fatta in un magazzino di abiti religiosi usati, visto che da qualche anno sfoggia una tonaca bianca tipo Zenone dell’armata Brancaleone e si fa chiamare diacono-esorcista. Ma l’abito, nel suo caso, fa il monaco, perché se ne va in giro brandendo crocifissi e lanciando anatemi così virulenti che perfino il patriarca Kirill gli direbbe di stare calmino.

L’ultima performance del Vikingo è avvenuta tre giorni fa a Ravenna, davanti al liceo artistico Nervi-Severini, che in occasione della Giornata contro l’omofobia e la transfobia aveva annunciato l’adozione della «carriera alias» e del registro gender-free, che dà la possibilità ai ragazzi con varianza di genere di vedersi riconosciuti nei documenti interni della scuola con il nome che si sono scelti.

L’obiettivo di Fabbri era «convertire il preside ai valori cristiani», speriamo non con i metodi che auspicava qualche anno fa per convertire i giornalisti antifascisti (aveva promesso una taglia a chi li avesse violentati con un bastone). Il dirigente scolastico non ha approfittato dell’occasione per mondarsi dei suoi «peccati», in compenso gli studenti hanno colto l’occasione per un selfie su cui ridere in pizzeria.

Meno male che al Vikingo non è giunta voce che anche nel nostro liceo Serpieri il registro gender-free e la «carriera alias» sono una realtà, altrimenti sarebbe andato a fare una piazzata anche lì. Che poi non si capisce perché uno che da anni vive di identità inventate – vichingo, prete, pronipote di Mussolini e forse ancora non ha finito – debba indignarsi per le carriere alias.

Ma può darsi che a Rimini il Vikingo si senta scottare il terreno sotto i piedi, dopo la bella impresa dei manifesti pro-Duce, che nel 2015 gli sono costati una condanna a sei mesi e 4625 euro di multa. Meglio così. Ai riminesi sono sempre stati più simpatici i vichinghi e le vichinghe doc, possibilmente senza tuniche e crocifissi. Anche perché nei loro paesi i diritti Lgbt sono da anni una realtà, fin dalla scuola.

Lia Celi

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