“Per affermare pubblicamente il nostro NO all’aumento della spesa militare ci ritroveremo sabato 9 aprile alle ore 16 a Santarcangelo, in piazza Ganganelli. Unisciti a noi, come singolo o associazione, per ribadire con tutta la nostra voce: NOT IN MY NAME!”: è l’appello di Lista civica PenSa–Una Mano per Santarcangelo, Più Santarcangelo, ANPI, ARCI, Avvocato di Strada e Libera per la manifestare insieme.
“Saremo in piazza – spiegano i promotori – per affermare la nostra contrarietà all’aumento delle spese militari italiane, che il Governo vorrebbe portare al 2% del PIL – come la Nato chiede da diversi anni a tutti i Paesi membri – con una crescita da 25 a 38 miliardi di euro l’anno, fino alla cifra record di 104 milioni al giorno”.
Che proseguono: “Si sta utilizzando la circostanza del conflitto in Ucraina per modificare in modo strutturale la spesa pubblica in direzione di una crescente militarizzazione della società, mentre le priorità dovrebbero essere sanità, scuola, sociale, lavoro, ambiente e transizione ecologica, la cultura e tutti gli ambiti di crescita umana. La manifestazione di sabato 9 aprile è un’occasione per ritrovarci in piazza, ascoltare interventi, letture e musica, condividendo la richiesta al Governo del nostro Paese di non procedere oltre con una scelta davvero inaccettabile”.Il
Il manifesto della convocazione:
“Not my in name”: questo slogan è risuonato nel corso di innumerevoli manifestazioni pacifiste degli ultimi decenni. Abbiamo deciso di recuperarlo per affermare la nostra contrarietà all’aumento delle spese militari italiane, che un ordine del giorno recentemente approvato alla Camera vorrebbe portare al 2% del PIL.
Già dal 2006 la Nato chiede a tutti i Paesi membri di innalzare la propria spesa militare fino a raggiungere almeno questa percentuale, ma finora il Parlamento italiano non aveva mai ratificato formalmente questa misura con un voto avente forza di legge.
Come riporta l’osservatorio sulle spese militari Mil€x, collegare una voce della spesa pubblica alla produzione di ricchezza globale del Paese, che comprende anche quella privata ed è soggetta a fluttuazioni non governabili, risulta del tutto aleatorio e incontrollabile.
È evidente che si stia utilizzando la circostanza del conflitto in Ucraina e la legittima preoccupazione di ciascuno di noi per operare una modifica strutturale della spesa pubblica in direzione di una sempre maggiore militarizzazione, direzione contraria rispetto a quella in cui dovrebbe andare la società.
Sanità, scuola, sociale, lavoro. Queste sono, o dovrebbero essere, le priorità del nostro Governo, mentre con difficoltà stiamo cercando di uscire da una pandemia che ha messo in evidenza tutte le necessità di maggiori fondi e interventi che hanno questi settori.
Questo senza dimenticare l’ambiente e la transizione ecologica, per cui finora abbiamo ascoltato molti proclami e visto poca sostanza. La cultura e in generale tutti gli ambiti di crescita umana sono a nostro parere prioritari rispetto a qualsivoglia spesa di carattere militare.
Le spese militari dell’Italia sono aumentate solo negli ultimi tre anni del 20%, superando i 25 miliardi di euro. Con l’incremento al vaglio del Parlamento crescerebbero di ulteriori 13 miliardi l’anno, raggiungendo la cifra record di 104 milioni di euro al giorno.
Crediamo sia giunto il momento di dire basta, non solo per la situazione attuale ma perché aumentare la spesa militare ci allontana dall’idea di mondo che abbiamo in mente, un mondo di pace che vorremmo poter costruire tutti insieme.