A San Marino dal 16 maggio al 1 giugno 2022 è stata condotta la seconda campagna di sondaggi archeologici nel sito di Castellaro di Casole.
Qui sorgeva appunto il castrum Casole, nominato talvolta castrum Montis Deodati. Il primo documento che lo cita risale al 25 maggio 1064, quando apparteneva al riminese Pietro di Benno, il quale in quella data lo donò all’abbazia di San Gregorio al Conca fondata quattro anni prima da San Pier Damiani. Passò poi, non si sa quando, ai conti di Montefeltro, finchè nel 1253 si sottomise a San Marino. Nel 1534 la Repubblica decise di radere al suolo la fortificazione, ormai abbandonata, che dal suo aguzzo colle dominava la gola del torrente San Marino: non potendola mantenere e presidiare adeguatamente si preferì non lasciarla alla mercè dell’eventuale nemico, così come si fece con altri caposaldi. Del Comune di Casole è rimasto un sigilllo che ne raffigura lo stemma e l’aspetto del castello (nell’immagine in apertura).
I ruderi del castello di Casole furono scavati negli anni Cinquanta del Novecento sotto la direzione dell’ing. Gino Zani, allora direttore degli istituti culturali sammarinesi. Le ricerche portarono alla luce resti del fortilizio medievale e tracce di frequentazione di epoche precedenti.
Dal 2019 la Sezione Archeologica degli Istituti Culturali ha intrapreso un progetto di studio e valorizzazione di Castellaro. Il progetto comprende lo studio dei materiali recuperati a Castellaro negli anni Cinquanta. E’ in corso un approfondimento della documentazione (disegni tecnici, aggiornamento delle schede catalogiche) dei notevoli reperti metallici e dei reperti ceramici di Castellaro presenti al Museo di Stato. E’ inoltre in fase di pulitura e studio un nucleo di materiali ceramici dello stesso sito, recuperato nel 2013 in un deposito della Biblioteca di Stato a Palazzo Valloni, un tempo sede anche del Museo di Stato.
Di fondamentale importanza per la comprensione del sito sono risultate le due campagne di sondaggi archeologici eseguiti a Castellaro nel 2020 e quest’anno.
I sondaggi del 2020 hanno permesso di riscontrare alcuni resti murari, una piccola cisterna e alcune buche scavate nella roccia (che sono risultate avere una funzione strutturale) già rilevati negli scavi di Zani.
La campagna appena conclusa ha consentito di rilevare sul pianoro sommitale di Monte Diodato altre buche con funzione strutturale scavate nella roccia, mentre nel settore nord-ovest sono stati individuati e parzialmente scavati livelli archeologici di età medievale in “giacitura primaria”, non raggiunti quindi dagli scavi di Zani. Il potenziale archeologico del sito è stato quindi ulteriormente confermato.
I sondaggi sono stati promossi dagli Istituti Culturali – Sezione Archeologica di concerto con l’Azienda Autonoma di Stato per i Lavori Pubblici (Settore Edilizia e Settore Verde Pubblico) e con la collaborazione dell’Ufficio Gestione Risorse Ambientali ed Agricole. L’intervento è stato condotto dall’impresa di archeologia esecutiva Tecne s.r.l. sotto la direzione scientifica del prof. Gianluca Bottazzi e con il coordinamento della dott.ssa Paola Bigi della Sezione Archeologica.
Al termine delle operazioni di scavo, grazie alla fattiva collaborazione dell’Azienda Autonoma di Stato per i Lavori Pubblici (coordinamento del dott. Giuseppe Bernardini e dell’assistente Bruno Raganini) e dell’Impresa Edile Titano, resti strutturali e livelli archeologici sono stati reinterrati al fine di garantirne la conservazione.