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Io, sacerdote e zampognaro nel XXI secolo

Cos’è Natale senza gli Zampognari? Eppure i musicisti girovaghi che paese per paese vanno a regalare un po’ di gioia a grandi e piccini appartengono a una tradizione millenaria, non legata esclusivamente alle feste di fine anno e che viene citata persino nella Bibbia,

Ce racconta Andrea Righi (33 anni), giovane zampognaro di Urbino, che insieme al suo amico Marco Magi (57 anni), cammina su è giù per il Montefeltro e non solo, suonando allegre melodie natalizie. Righi, che oltre a ricoprire questo ruolo già da qualche anno, ormai, è Diplomato in Trombone al Conservatorio di ‘G. Rossini’ di Pesaro, è un Sacerdote della Diocesi di Urbino e ricercatore del Dipartimento di Teologia Biblica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.

Chi è lo Zampognaro?

«Lo Zampognaro è un musicista che ora suona in una piazza, risvegliando i sentimenti più sinceri nei cuori distratti dei passanti. Poi in una casa di fronte gli occhi commossi di chi ricorda la propria infanzia con i propri cari, in una chiesa al termine della messa, a bordo della slitta di Babbo Natale per consegnare i regali, in un Bar come buon auspicio, ma anche in una scuola materna davanti tanti bambini, al ciglio del letto di una persona anziana che sa di trascorrere il suo ultimo natale. Infine, alla cena di gran galà davanti lo sguardo divertito dei presenti, in un centro commerciale tra persone preoccupate di rientrare nel budget natalizio, ad un presepe vivente annunciando la nascita di Gesù….tutto questo e molto altro è lo Zampognaro».

Quando è nata questa figura?

«La storia degli zampognari è assai antica ed è strettamente legata alla nascita della zampogna. Le fonti antiche attestano la presenza di questo strumento a partire dal III sec. a.C. nell’area mediterranea. Nella Bibbia troviamo citata la zampogna assieme alla tromba, al flauto, alla cetra, al salterio (Cfr Dn 3,5). Lo storico romano Svetonio ricorda che l’imperatore Nerone si dilettava nel suonare alcuni strumenti, tra cui uno in particolare realizzato con canne inserite in un otre chiamato ‘utriculus’: zampogna. Fedele compagna della zampogna è la Pipita, uno strumento che arricchisce la melodia della zampogna con il suo caratteristico timbro sonoro ottenuto facendo vibrare un’ancia doppia direttamente sulle labbra del musicista e posta a capo dello strumento che assomiglia ad un flauto dolce di legno».

Lo Zampognaro si fa vedere solo durante le festività natalizie?

«Sebbene il suono della zampogna sia oggi tradizionalmente legato al periodo di Natale a partire dalla novena all’Immacolata dell’8 dicembre fino all’Epifania, in antichità la zampogna era suonata durante tutto l’anno specialmente nei momenti di festa e durante i raccolti. Mio nonno racconta della presenza degli zampognari che visitavano le campagne con un pappagallino sulla spalla che estraeva un fogliettino su cui era scritto un augurio e lo consegnava ai contadini che si guadagnavano il pane con il sudore della fronte».

A proposito di zampogna, di che materiale è fatto questo strumento così particolare e in cosa differisce dalla cornamusa scozzese?

«Riguardo al materiale di costruzione, la zampogna vanta l’esclusiva di essere l’unico strumento musicale costruito senza l’uso di metallo. La sacca che lo zampognaro riempie d’aria, che si chiama otre, è di pelle di capra conciata, mentre il corpo sonoro è di legno; generalmente i legni più apprezzati sono erica, gelso, albicocco e olivo. La cornamusa appartiene, assieme alla zampogna, alla famiglia degli aerofoni, ma sono due strumenti che hanno notevoli differenze. La zampogna è legata alla tradizione musicale mediterranea, mentre la cornamusa a quella nord europea. Inoltre la zampogna è uno strumento polifonico-armonico; questo vuol dire che, dei 5 bordoni che emettono un suono fisso, 2 di essi possono produrre ciascuno 5 note diverse, dando vita ad un vero concerto di voci. La cornamusa invece è uno strumento monodico, perché la melodia è emessa da un solo charter. Varia anche la produzione del suono: la zampogna utilizza ance di canna molto delicate e difficili da costruire, mentre la cornamusa utilizza delle lamine metalliche…».

Perché oggi, nel 2017, sente il bisogno di vestire i panni dello Zampognaro?

«Noi non sentiamo il bisogno di vestire i panni dei zampognari, ma siamo onorati di custodire un’antichissima tradizione musicale italiana che appartiene al patrimonio culturale comune a tutti: ricchi e poveri, persone semplici ed esperti musicisti. Non dimentichiamo che il celebre compositore barocco Arcangelo Corelli compose la sua famosa Pastorale ispirato dai zampognari che incontrò tra i vicoli del centro storico di Roma».

Lei come ha cominciato a fare lo Zampognaro?

«La  passione per la zampogna è nata per scherzo, quando mi venne offerta una zampogna per animare il Natale. Non avevo mai preso in mano una zampogna, ma subito mi appassionai e chiesi al mio amico Marco di formare il classico duetto zampogna e pipita».

Solitamente in quali zone andate a suonare?

«Noi zampognari del Montefeltro suoniamo ovunque ci chiamino, oltre alla nostra regione, abbiamo suonato in Emilia Romagna, in Toscana e Umbria. Quest’anno saremo presenti al Capodanno di Venezia».

Ci sono anche donne vestono questi panni?

«Non abbiamo mai incontrato una donna tra i nostri compagni zampognari ed è facile capire il motivo; la grande quantità di aria necessaria e lo sforzo prolungato richiedono un diaframma e una cassa toracica maschile».

E’ molto difficile suonare la zampogna?

«La zampogna è un aerofono che richiede molta aria e una pressione dell’otre tenuta costantemente sotto controllo dallo zampognaro. La difficoltà è legata al saper garantire allo strumento la giusta pressione dell’aria in contemporanea alla tecnica delle due mani che agiscono indipendenti su due bordoni».

Il vostro è un servizio gratuito o ne ricavate qualcosa?

«Il nostro è un sevizio che offriamo, quello che chiediamo è un compenso per coprire il costo della manutenzione degli strumenti che sono molto delicati e delle spese di viaggio».

Secondo lei, gli Zampognari continueranno a esistere oppure spariranno come tanti mestieri antichi?

«Contrariamente a quanto si pensi, in questi ultimi anni c’è stato un notevole incremento del numero di Zampognari specie tra i giovani del sud Italia. Oggi si assiste ad una notevole rivalutazione di questo strumento, che è passato dai tratturi dei pastori con il loro gregge alle aule di musica e alla cura di esperti musicisti attratti da sonorità così arcaiche. Il sorgere di master classes di Zampogna e musica popolare presso i Conservatori   è la prova che questo strumento sta attraendo sempre più musicisti».

Don Righi ci regala anche un consiglio: rileggere una poesia nata proprio in queste terre e non tanto tempo fa, per rivivere atmosfere che basta un nulla per far risorgere:

LE CIARAMELLE

di Giovanni Pascoli

Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.

Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.

Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.

Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.

Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.

O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;

che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.

Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;

sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!

Nicola Luccarelli

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