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Rivoluzione al Comune di Rimini, metà dei dirigenti se ne va

Rivoluzione al Comune di Rimini. Senza rivoltosi, né per via di crisi politiche, ma un ribaltone forse ancora più incisivo per gli effetti che porterà nella macchina amministrativa di Palazzo Garampi. L’autore del golpe, se così si può chiamare, è semplicemente il passare del tempo. Che in una carriera lavorativa significa pensionamento. E fra i dirigenti del Comune di Rimini, quelli che sono già andati in pensione negli ultimi tempi, sommati a coloro prossimi al traguardo, rappresentano una buona metà dei 21 in forza al Municipio con contratto da dipendente. Un autentico ricambio generazionale. Che non è semplice da affrontare.

Dopo le strette di Tremonti prima e di Monti poi, il numero complessivo dei dirigenti del Comune di Rimini era passato da 55 ai 31 del 2010. Il blocco del turn-over impediva nuove assunzioni ha fatto il resto scendendo appunto a 21 (in realtà 20, come vedremo), mentre le funzioni continuavano ad accentrarsi nei superstiti. Venendo meno molti di costoro, entro il 2019 a Rimini ci sarà una forte quota di “capi” del tutto nuova.

Solo quest’anno hanno già lasciato il loro posto Alberto Fattori (Gestione Territoriale, Piano Strategico e altro) e Remo Valdisserri (attività economiche, edilizia e altro). Andrà sostituito anche Luigi Botteghi, arruolato da Virginia Raggi per sistemare la ragioneria generale del Comune di Roma, mentre Carla Bedei (Diritto allo studio e altro) è andata in mobilità a Ravenna. Poi dal 1° luglio del 2018 partirà un’altra raffica di addii.

A scoccare di quella data saluteranno i colleghi Bruno Borghini (Politiche giovanili e servizi educativi) e Daniele Fabbri (Lavori pubblici e qualità urbana). A settembre ci sarà poi da ricoprire il ruolo più importante, quello di Segretario Generale, poiché anche Laura Chiodarelli concluderà il suo servizio.

Sempre nel 2018 maturerà i requisiti anche Enrico Bronzetti (Servizi al cittadino). Il 1 gennaio del 2019 toccherà a Giampiero Piscaglia lasciare il timone del settore Cultura. Fra l’altro, anche una delle candidate “naturali” a sostituirlo, la funzionaria Paola Del Bianco, a sua volta andrà invece in pensione fra breve.

«Tutte figure di grande valore, che non sarà facile rimpiazzare», commenta Alessandro Bellini, che essendo il dirigente al personale (ma anche al turismo e allo sport) è proprio colui che deve accompagnare il Comune nel suo cambio di pelle.

E Bellini aggiunge: «Persone brave con ottimi curricula ne troveremo certamente, ma non sarà lo stesso semplice trovare un sostituto a certe figure, che hanno accumulato nel tempo competenze  interdisciplinari. Faccio il caso di Piscaglia che si occupa della cultura, solo perché è il più facile da spiegare: lui è competente di musica e può seguire la Sagra Malatestiana, di teatro e può organizzare la programmazione del Novelli e degli Atti, di cinema e può seguire le rassegne e il nuovo Fulgor, e già che c’è si occupa della biblioteca Gambalunga e dei grandi eventi estivi. Capiterà la fortuna che il concorso sarà vinto da una persona altrettanto versatile? Lo stesso discorso naturalmente può essere fatto per gli altri che se ne andranno, tutti con grandi e vaste esperienze».

Insomma a Rimini potrebbe anche capitare un numero uno dei Musei, ma sarà difficile che nel mettere mano alla Notte Rosa non dovrà partire da zero. Così in ogni settore, dove la stranota peculiarità di Rimini tanto piccola ma tanto grande, dovendo offrire servizi da metropoli pur avendo 150 mila abitanti – si riflette pesantemente sulla pubblica amministrazione.

«Immagino già – sorride Bellini – i commenti di chi sente dire che i dirigenti sono bravi, oberati di lavoro e schiacciati dalle responsabilità. Lo sappiamo anche noi che i comunali sono tutti vagabondi se non ladri. E’ un sentire troppo radicato in noi italiani». Di vero c’è il posto fisso, senza dubbio. In cambio è altrettanto lampante che le retribuzioni di un dirigente comunale non siano nemmeno lontanamente da paragonare a quelle di un manager privato con pari compiti. E poi c’è il peso delle responsabilità, perché in certi ruoli la visita della Guardia di Finanza o altro organo inquirente fa parte ormai della routine. 

«Il fatto è che oggi il cittadino se non è soddisfatto più che imbarcarsi nei ricorsi, lunghi e costosi, va direttamente in Procura. E allora si deve aprire un fascicolo, svolgere indagini, eccetera. Che quasi sempre finiscono in nulla, ma intanto, ogni volta che arriva una divisa, c’è quel quarto d’ora in cerchi di fare mente locale su cosa mai possa essere successo. E posso assicurare che non è sempre neppure facile capirlo subito. Non è un bel quarto d’ora. E’ po’ quel che è successo con i medici. Un tempo ben pochi avrebbero denunciato un dottore, forse c’era anche la sacralità dei ruoli. Adesso si esagera nel senso opposto, se qualcosa va storto per prima cosa si chiamano i Carabinieri». E così è nata la cosiddetta “medicina difensiva”, con i medici a costruirsi barriere di sicurezza a base di moltiplicazione di analisi e consulti, ma con il risultato di far aumentare la spesa sanitaria in modo abnorme. La stessa cosa avviene negli altri campi della pubblica amministrazione, il che non è certo un gran incentivo ad accelerare le pratiche.

Ma dirigenti non sono assicurati, come i medici? «Sì, anche noi siamo quasi tutti assicurati – risponde Bellini – ma queste polizze non sono obbligatorie – mentre secondo me dovrebbero esserlo – e le paghiamo di tasca nostra. Inoltre, sono talmente rischiose anche per le compagnie che in Italia c’è ne solo una che le sottoscrive: i Lloyd’s di Londra. Detenendo di fatto il monopolio, si può immaginare quanto sia facile per loro dettare condizioni che consentano di tirarsi indietro quando le cifre in ballo diventano pesanti. E nel lavoro di un dirigente capita spessissimo di mettere la firma, spesso di corsa e in mezzo tanti altri, su atti per cui qualcuno può aprire una causa da milioni di euro».

E i “furbetti del cartellino”?  «A Rimini abbiamo avuto casi limitati, comunque ci sono state sanzioni e anche un licenziamento. Io però li chiamerei gli “stupidi del cartellino”. Chi viene beccato fuori dal posto di lavoro può essere sospeso entro 48 ore, licenziato entro un mese, condannato in sede penale e chiamato a risarcire in sede civile: ne vale la pena? E con la “riforma Madia” sarà ancora peggio, anche per noi dirigenti, che possiamo essere chiamati a risarcire se non dimostriamo di aver controllato. Solo che poi la legge ci mette i poi bastoni fra le ruote anche nel farli, questi controlli».

Cioè? «Per esempio, nel sostituire i marcatempo avevamo chiesto di installare quelli a controllo delle impronte digitali, ormai di uso comune, che renderebbero impossibile timbrare i cartellini di altri. Ebbene, il Garante della privacy ce li ha bocciati: un Comune questi dati a un suo dipendente non può richiederli. Eppure le banche possono prelevarli a chiunque vi metta piede».

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