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Ritorno al Vecchi(o) bar

Di acqua sotto il Tiberio, nonostante la siccità, molta ne è passata. Da quella mattina di fine marzo in cui Vecchi ha chiuso i battenti.

Preveggente quella scritta impressa sulla protezione del cantiere voluta dalla Cremma, la società che ha rilevato questo pubblico esercizio: apriremoche saremo Vecchi. L’anacoluto (non è una parolaccia, ma una figura retorica) è apprezzabile, non solo per l’aspetto formale, ma soprattutto perché intriso di quella riminesità che da sempre è stata la cifra di Vecchi. Dei suoi gestori. Di tanti suoi clienti.

“….in essa bottega primieramente si beve un caffè che merita il nome di caffè… vi sono comodi sedili…la notte è illuminata, cosicché brilla in ogni parte dell’iride negli specchi e ne’cristalli sospesi intorno alle parete e in mezzo alla bottega… in essa chi vuol leggere trova sempre i fogli di novelle politiche.. “Pietro Verri, dal “Caffè”; Milano 24 giugno 1774.

Queste righe, scritte da uno dei fratelli Verri, sono state estrapolate dall’articolo di apertura del primo numero del periodico “Il Caffè”. Che divenne il principale strumento di diffusione dell’Illuminismo italiano. Inutile girarci attorno: l’altra mattina, quando per la prima volta sono entrato nel nuovo Vecchi la mia mente di attempato prof si è immediatamente sintonizzata su questi contenuti. Frutto dei ricordi di tante lezioni su questo argomento,

Dunque il nuovo “bar” consolida il suo percorso nel solco della tradizione illuminista. Strizzando altresì l’occhio a quella tipologia di esercizi in auge (credo) nel periodo dell’edificazione del Galli e senz’altro ai ritrovi riservati alle élites europee della “Bella Epoque” in vacanza dalle nostre parti secondo la moda del tempo.

Ma nel contempo si apre a nuovi percorsi. Il nuovo esercizio resterà aperto per l’intera giornata dalla colazione alla cena. Offrendo prodotti di qualità italiani e internazionali secondo il principio del “Km Vero”. Serviti da tanto personale donna: 19 su 21, se ho ben capito.

Dunque non un “recupero filologico”, volendo usare una terminologia cara agli architetti. Ma funzionale alle nuove modalità di usufruire spazi e contenuti adeguati alle esigenze del nostro tempo. Marcando quindi un cammino parallelo al recupero funzionale di tanti spazi identitari della nostra città: dai monumenti storici, ai musei, al teatro, al cinema Fulgor, alle piazze, al lungomare.

Scrive in un suo post il dr Giorgio Celli, direttore della Nuova ricerca, nonché come me e una nutrita cricca di mattutini clienti rurali*: “Finalmente a casa!”.

Condivido. Anche se la casa è cambiata. Os-cia se è cambiata! I tavolini di ceramica artistica di Urbinati ne sanno qualcosa. Sono stati letteralmente sbattuti fuori. Per il pandemico dehor… Stessa la fine di Massimo, Oriano e la Michi. Per loro (giusta) scelta di un meritato riposo… Che però brucia ancora non poco…purtroppo! 

Giorgio Grossi

*rurali è la cifra di Enrico (Santini). La usa (e abusa) per ogni occasione! Finendo col contaminarmi.

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