In quella via c’è qualcosa che non va. E non tanto perché la Via Clodia fu per secoli la più malfamata di Rimini, ospitando le case di tolleranza fino alla loro abolizione nel 1959 con la legge Merlin. No, ad attirare l’attenzione di Oreste Delucca è un semplice cartello stradale: “Via Clodia, famiglia della Rimini romana”. La medesima dicitura è ufficializzata nello Stradario del Comune di Rimini.
Per Delucca, il nome di una via semplice lui non è mai, dato che fa parte della commissione toponomastica del Comune di Rimini. Ed è una sua passione capire perché i luoghi e le strade si chiamino proprio così e quali denominazioni abbiano avuto in passato. Sta anche per pubblicare l’ennesimo frutto delle sue ricerche proprio sui nomi delle vie di Rimini: uscirà per Natale per l’editore Giovanni Luisè, che fa parte anch’egli della commissione toponomastica comunale; sono stati loro a insistere affinché almeno in alcune tabelle viarie del centro storico sia indicato anche il nome più antico. Nel volume compariranno anche diversi articoli che Delucca aveva firmato per Chiamamicitta.it.
Ma cosa c’è di strano in qual cartello? “Rimango perplesso – spiega lo studioso premiato con il Sigismondo d’Oro – perché a Rimini le vie con i nomi delle famiglie romane, le gens che abitavano qui duemila anni fa, sono tutte nella zona dell’Anfiteatro e senza dubbio in omaggio alla sua presenza. Furono attribuite con una delibera del 4 marzo 1926 alle strade di un quartiere sorto in quegli anni, fra il 1906 e il 1929, che aveva profondamente modificato la situazione preesistente: prima era una zona semi-spopolata, con qualche convento e molino fra orti e terreni incolti. I nomi di quelle nuove vie erano e sono: Aponia, Settimia, Lepidia, Cornelia, Vezia, Sabinia, Galeria. Clodia non c’è”.
E quindi? “Via Clodia è dalla parte opposta di quel nuovo quartiere e fra le strade che ha intorno nessuna è stata dedicata a una famiglia di epoca romana. Invece ai primi dell’Ottocento, quando in età napoleonica Rimini fu suddivisa in quattro rioni, uno venne già chiamato Clodio. Dunque quel nome esisteva già e da molto tempo, come del resto dicono i documenti”.
Quali? “Per esempio in Biblioteca c’è un manoscritto che ricorda la messa in scena di una ‘Didone abbandonata’ nel ‘Teatro nuovo Arcadico posto in via Clodia’: è del 1732. A quei tempi i nomi delle vie non venivano decisi dalle commissioni toponomastiche, ma erano dettati dall’uso popolare. E’ altamente improbabile che il popolo del XVIII secolo avesse memoria della gens Clodia. E poi, per quale motivo avrebbe dovuto ricordarla proprio quella via?”.
Ma ci sono notizie di questa famiglia romana a Rimini? “Sì, diversi bolli laterizi, i marchi di fabbrica che venivano posti su mattoni e coppi, riportano questo nome. E forse proprio da qui si è generato l’equivoco”.
Cioè? “Lo storico e archeologo Luigi Tonini nel censire a metà Ottocento le famiglie di epoca romana scrive così: ‘Claudia o Clodia (…) in Rimini poi è una contrada verso marina detta Via Clodia. Infine frequentissime sono le tegole, che si rinvengono nell’agro nostro, col bollo Q. CLOD. AMBROS. cioè Q. Clodi Ambrosi (…). Può essere stata una famiglia rustica passata poi in città nei tempi più bassi’. Ma attenzione, Tonini da buon ricercatore fornisce tutte le notizie che ha trovato sul nome Clodia. Ma non mette in relazione la via con la famiglia romana, si limita ad annotare senza commenti. Essendo Tonini però l’autorità assoluta per la storia di Rimini, qualcuno in Comune deve aver fatto un passo di troppo collegando le informazioni riportate in quella schedula, prendendo però un abbaglio clamoroso”.
Perché un abbaglio? E cosa significa allora Clodia? “Abbaglio clamoroso perché il popolo, sempre lui, sapeva bene cosa significasse quel nome e perché spettasse a quella via di Rimini e non ad altre. Clodia è il nome antico di Chioggia. Lì abitavano i Chioggiotti e i loro discendenti, dato che una comunità veneta esisteva qui da lunghissimo tempo”.
“La via o contrada Clodia faceva parte del più antico Borgo Marina, che fu inglobato un po’ alla volta nella mura cittadine. Era il Borgo più grande della città e abitato dalla gente di mare, marinai, pescatori e artigiani del porto che in gran numero erano arrivati appunto da Chioggia: nei documenti si registrano chioggiotti a Rimini almeno da metà Quattrocento. In alcuni periodi di guerre e carestie arrivarono dalla laguna veneta vere ondate di profughi. E qui, negli stati pontifici, venivano accolti a braccia aperte, perché rappresentavano manodopera specializzata, sempre più preziosa man mano che cresceva il grande affare della pesca. Lo stesso accadde ad Ancona con quelli di Burano, i Buranelli”.
Una presenza tanto importante da dare il nome a un quarto della città, il Rione Clodio appunto? “Già. Lasciandoci anche certi cognomi inconfondibilmente veneti, come Naccari, Prioli, Crosara, Marangoni. E fino agli anni ’30 del Novecento a Rimini qualcuno a Borgo Marina parlava ancora il portolotto, la lingua franca delle marinerie adriatiche che era fondamentalmente veneta e pressoché incomprensibile per un romagnolo di terra. Ma intesa benissimo in tutti i quartieri portuali del nostro mare, nelle Marche come in Dalmazia”.
Dunque quell’errore va corretto sullo Stradario e sulle tabelle viarie? “Per carità, è solo una scritta che notano in pochi, una sciocchezza, nessuno scandalo. Però sì, quel che è giusto è giusto e l’errore va corretto: porrò la questione in commissione toponomastica. Se non altro, un chioggiotto che capitasse qui forse sarebbe contento di ritrovarsi un po’ casa sua, no? E anche qualche riminese magari sarà incuriosito dalla stretta parentela che legò Ariminum e Clodia, segnando così a fondo la storia della città”.
Stefano Cicchetti