Martedì 31 maggio alcuni operai impegnati nei lavori di demolizione di un vecchio palazzo riminese si accorgono della presenza in loco di diverse nidiate, con minuscoli uccellini ancora implumi: decidono così di recarsi al Cras, il Centro Recupero Animali Selvatici, garantendo alle piccole creature una miracolosa chance di sopravvivenza.
Un gesto umano, gentile, e niente affatto scontato, va ad inserirsi in un vero e proprio vuoto politico: l’assenza cioè di una normativa comunale che tuteli la biodiversità urbana in casi come questi. Mentre città come Milano possiedono regolamenti che si occupano dei diversi aspetti riguardanti la convivenza tra i selvatici e gli umani, a Rimini episodi simili capitano a decine e decine nel corso di una stagione estiva e investono principalmente una specie migratoria la cui biologia è più unica che rara, quasi commovente a pensarci bene.
Quei piccolissimi orfani sono infatti pulli di rondone, un uccello che da secoli sceglie le nostre città, i nostri centri storici per nidificare, trovando ospitalità in nicchie e fessure preesistenti negli edifici storici e moderni. Il legame tra uomo e rondone in realtà è a tal punto affascinante che sembra risalga al Neolitico, quando i tetti di paglia dei primissimi insediamenti umani stabili divennero privilegiati siti di nidificazione per questa meravigliosa specie, sostituendosi gradualmente a contesti naturali come pareti rocciose o cavità di alberi. A partire da quel momento dunque i rondoni hanno sempre vissuto a contatto con l’uomo, adattandosi ai diversi contesti urbani ed architettonici, fedeli per tutta la vita alla cavità di nidificazione: in essa ogni anno i due adulti si ricongiungono al termine di un viaggio lunghissimo che li vede fare ritorno in Europa- e in Italia- dopo avere svernato in diverse località dell’Africa sub-sahariana, capaci di mantenere ad ogni nuovo viaggio le stesse rotte migratorie.
Creature del cielo e dell’aria al sommo grado, volano ininterrottamente per dieci mesi all’anno senza mai fermarsi: in volo si nutrono, in volo bevono, in volo si accoppiano, in volo dormono. Non si posano mai, se non per nidificare appunto. Presenza scintillante e gioiosa, fatta di voli acrobatici e coreografici, di vocalizzazioni che solcano i nostri cieli come schegge di suono dorate in perenne movimento: un librarsi in volo che sa di libertà, che insegna la grazia. Possiamo immaginare che cosa avranno provato i genitori una volta preso atto della sparizione nel nulla dei loro piccoli e della distruzione della cavità adibita a nido che li ospitava chissà da quanto tempo? Forse no, non possiamo davvero immedesimarci in loro, ma possiamo PROVARCI.
La grande fatica che la migrazione comporta, la scelta sempre fedele della nostra città, dei nostri edifici, dei nostri monumenti, e non da ultimo la bellezza visiva e sonora che queste meravigliose creature ci donano ad ogni estate: di certo non siamo ospitali come potremmo e dovremmo. Di certo parole come convivenza, empatia ed ospitalità non sono affatto separabili da slogan oggi molto in voga un po’ dovunque: biodiversità, green, ecofriendly. Torniamo a vivificare le parole con le pratiche politiche!
Arianna Lanci