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Rimini, Morolli: “Non c’è risarcimento per l’adolescenza. Scuola resti aperta”

Mattia Morolli, assessore ai servizi educativi del Comune di Rimini, non ha dubbi sul fatto che le problematiche legate ai giovani debbano avere un ruolo centrale nelle decisioni politiche per affrontare l’emergenza sanitaria in atto. Per questo motivo ritiene sia necessario fare di tutto affinché le scuole restino aperte in presenza.

“Un corrispettivo economico, come per un negozio che chiude, non c’è. Non si torna indietro ai tredici, sedici o diciotto anni, ad età non vissute. Pensiamoci bene, dal lockdown passato alle attuali restrizioni, quante sono le esperienze loro negate proprio in un’età, l’adolescenza, in cui l’incontro e il contatto sono elementi fondamentali di crescita personale e sociale? Quanto hanno già perso i nostri giovani e quanto altro abbiamo intenzione di fargli perdere, in questa società adulto centrica? Non solo la scuola, ma anche lo sport, fino ai primi amori, i fidanzamenti; la vita. Lo ripeto, non c’è risarcimento nella perdita di relazione, non stiamo parlando di fatturato o incassi dimezzati, ma della crescita scolastica, fisica e sentimentale dei nostri figli. Cosa vorrà dire tutto questo lo scopriremo probabilmente solo tra uno o due anni, e il timore è che ce lo porteremo dietro per tanti altri ancora, perché segnerà una intera generazione di giovani. Ecco perché trovo che sia giusto fare tutto il possibile per tenere le scuole aperte e limitare al minimo indispensabile chiusure e didattiche a distanza”, spiega l’assessore.

“Qualcuno, magari tra i più anziani, si chiederà: “Ma non si sono abituati?”. Sì, ovviamente: la generazione digitale per eccellenza non poteva non abituarsi velocemente a fare scuola da casa. Ma non gli piace, per nulla. E non è solo una mia impressione, ma quella di tanti genitori, amici e insegnanti che incrocio in assessorato o che mi chiamano per chiedere aiuto, sostegno, assistenza. La risposta dunque è si, si sono abituati, ma la scuola gli manca, mancano i rapporti umani con i compagni, gli mancano i professori, gli manca persino la paura dell’interrogazione e il sollievo per averla “sfangata””.

“Un ragazzo qualche giorno mi fa mi ha detto una cosa bellissima, nella sua drammaticità, “siamo sempre online, ma manca la bellezza della parola, che ora abbiamo perso”. “Il rapporto umano, il porgere domande, il chiedere precisazioni, la preparazione di interrogazioni gomito a gomito, la carezza docile di un insegnante che ci faceva coraggio buttando l’occhio su un foglio ancora bianco”. Ora invece “vedo i miei compagni distrarsi sempre prima, alcuni stanno sempre in pigiama”. Dopo il sessantotto, i baby boomers, la generazione X, i millennials, i bamboccioni, eccoci infatti arrivati alla generazione C, chiusi, rinchiusi. Ma è colpa nostra, non loro, ecco perché vorrei che le loro esigenze, e queste parole, entrino finalmente al centro del dibattito politico ed istituzionale di queste ore, dove si deciderà non solo l’apertura o la chiusura di una scuola ma, è bene averne la consapevolezza, quella di una intera generazione”, conclude Morolli.

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