Le due omelie di Natale del Vescovo di Rimini Francesco Lambiasi:
Natale di luce
Omelia per la Messa della Notte
Rimini, Basilica Cattedrale, 24 dicembre 2020
Un bambino tenero e scomodo. Piuttosto facile credere in un Dio lontano, da poterselo tenere buono con qualche fastoso, sofisticato rito sacro. Da accattivarselo con qualche inerme agnellino da offrirgli in sacrificio. Piuttosto automatico contare su un Dio distante, pensato come un algido essere perfettissimo, ma lontanissimo da questa nostra storia fangosa e ingarbugliata.
- 1. Ma quella notte a Betlemme il buio è stato squarciato da una luce avvolgente. E un silenzio profondo e come sospeso non ha potuto inghiottire quell’annuncio di gioia: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”.
“Oggi, un salvatore, per voi”: ecco il cuore dell’annuncio. Ed ecco il segno offerto a riprova del messaggio. Sorprendente nella sua piccolezza. Stupefacente nella sua semplicità. Sconcertante nello scarto tra annuncio e oggetto della contemplazione. Il Salvatore e Messia è indicato in un bambino, avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia. Ecco la luce del Natale: l’infinitamente lontano si è fatto vicino. L’eterno ha varcato la soglia del tempo. L’altissimo si è incurvato. L’immenso si è rimpicciolito per farsi concepire, per nascere e farsi abbracciare.
È così che la luce del mondo annunciata dal profeta appare come una luce limpida, calda, gioiosa. Illumina, ma non abbaglia. Rivela, ma non acceca. Dio che si fa uomo non pretende sconti. Non si assicura scorciatoie. Non esige privilegi. Non viene sulla terra con passo spavaldo. Non entra nel mondo a gamba tesa.
Si inserisce nell’umanità in modo umano. Di più: si introduce nella storia per ultimo e per gli ultimi, in assoluta umiltà e radicale povertà. In una stalla, non in una reggia. Nel silenzio, non nel clamore. Viene per uno sparuto gruppo di poveri pastori, considerati ‘scartati’, addirittura ‘impuri’.
- 2. Shock assoluto! Ma come può Dio, l’onnipotente, manifestarsi nella carne di un neonato fragile e bisognoso di tutto? Come può Dio, che rischia di rimanere impigliato in balia delle manovre dei potenti, sconfiggere il male che appare così sfrontato, brutale e tanto agguerrito?
Di più. In cosa consiste la salvezza del Bambino-salvatore, se ben poco è cambiato in questi duemila anni: se si soffre ancora, se si muore ancora, se ancora si rimane smarriti e sgomenti per tanta, troppa! ingiustizia che ancora domina il mondo?
Il Natale ci autorizza a rispondere così: questo ‘scandalo’ dipende dal fatto che il modo scelto da Dio per salvarci non è stato quello della forza, ma della debolezza. Non della sapienza, ma della stoltezza. Non della potenza, ma della povertà. E, soprattutto, quello della condivisione.
È un po’ la differenza che c’è tra un luminare della medicina e una persona cara: un fratello, un amico. Il luminare qualche volta risolve il problema, riesce a guarire. Il fratello, l’amico – se sono veramente tali – ci rimangono accanto anche quando il problema non si risolve. Semplicemente lo condividono con noi. Ne fanno parte della loro stessa vita quotidiana. Il luminare può aiutare qualche volta. La persona cara rimane sempre al tuo fianco, anche quando, risolto un problema, ne sorgono altri. Dio ha scelto il secondo modo – tra i due appena ricordati – non perché non voglia aiutarci nei nostri affanni e malanni quotidiani. Ma perché vuole fare, anzi vuole essere ben di più per noi: appunto un fratello, un amico. Per cui non ci dà semplicemente un aiuto, o qualcosa. Ci dona tutto: se stesso.
Ora sappiamo che, comunque vadano le cose nel mondo e nella nostra vita, Gesù è e resta l’Emmanuele, il Dio-con-noi. È al nostro fianco, e non ci abbandonerà mai. Mai.
Perché quel Natale, avvenuto una volta, vale una volta per tutte.
+ Francesco Lambiasi
LA LUCE DEL NATALE
Omelia del Vescovo per la s. Messa del Giorno di Natale
Rimini, Basilica Cattedrale – 25 dicembre 2020
Noi e la luce: liberi di accoglierla o di rifiutarla. Liberi di vagare nel buio urtando la realtà, senza capirla, e rimanerne feriti. Oppure liberi di riconoscere nella Parola “la vita“ e nella vita “la luce vera che illumina ogni uomo”. Ma siamo proprio sicuri che la luce stia sfolgorando, quando bisogna sgranare gli occhi nella nebbia, se non addirittura barcamenarsi nel buio pesto di questa triste, devastante pandemia? Eppure una luce si è accesa nella notte della storia, e continua ancora a brillare. È la luce della stella di Natale.
Nella sua più alta manifestazione a Mosè sul Sinai Dio si era rivelato attraverso una fiamma ardente in mezzo a un roveto spinoso. Una fiamma viva, senza alcun bisogno di essere alimentata, senza alcun rischio di venire spenta. Così è fatto il Dio d’Israele: è un Dio di fuoco, fatto tutto d’amore. È un Dio che non può fare a meno di interessarsi delle persone. Che non ce la fa proprio a starsene da solo. Che avverte un bisogno pungente di cercare i suoi figli: noi fratelli tutti, e parla con noi come ad amici.
- Natale: una Parola visibile e palpabile. Le nostre parole sono fiato al vento: si possono forse vedere e addirittura palpare? Assolutamente no, a meno che non sia la Parola di Dio fatta carne a tradursi in linguaggio visibile e palpabile: ce lo ricorda l’apostolo Giovanni (cf. 1Gv 1,1). Lo stesso che ha proclamato all’inizio del suo vangelo: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Per penetrare questo messaggio strabiliante, che non finisce di sorprenderci e sempre infinitamente ci supera, dobbiamo fare un passo indietro e tornare all’evangelo del Natale. L’evangelista Luca, per ben tre volte ci ridice l’essenziale: l’evento nudo e crudo di un “bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia” (Luca 2,7.12.16).
La “buona notizia” dell’incarnazione del Figlio di Dio è sorprendente e, insieme, sconcertante. Se si vuole mantenere intatta la verità di Gesù, occorre non scolorire il contrasto – che non potrebbe essere più inimmaginabile e stupefacente – tra la povertà scandalosa del bambino da una parte, e, dall’altra, la sua gloria sfavillante, che gli angeli proclamano con il canto. Povertà e gloria sono dimensioni intrecciate, inscindibili, ambedue indispensabili per comprendere l’identità unica e originalissima di Gesù. Questo bambino che compare nella storia, confuso nel numero degli uomini senza peso, è la Parola di Dio che ci ha creati. La Vita che ci fa vivere da figli. La Luce che sfugge alle prese delle tenebre.
- Natale: una Parola divina e umana. L’evangelista Giovanni sembra voler radicalizzare ulteriormente la tensione bipolare tra questi estremi, cogliendola non solo tra la povertà e la gloria, ma perfino tra la parola divina e la carne umana. C’è un contrasto più irriducibile tra la parola con cui Dio ha fatto i cieli, e la carne umana che è segno di fragilità e di miseria? Questa “parola” non è una sottile metafora per dire Dio che si mette in comunicazione con le sue creature. Non è neanche una idea astratta, general generica, senza volto e senza nome. Ha il volto del Figlio di Dio e il nome benedetto del figlio di Maria: Gesù, l’Emmanuele, il Dio-con-noi.
Questa Parola si è fatta carne. È venuta in mezzo a noi. È fiorita in “questa aiuola che ci fa tanto feroci” (Dante). Si è impiantata tra la polvere e il fango della nostra storia tragicomica, e si è fatta pianto di bambino. Poi questa Parola fatta carne crescerà e si farà grido contro ogni ipocrisia. Canto di beatitudine per i miserabili e i misericordiosi. Chiamata irresistibile per un pugno di pescatori, poveri peccatori, uomini fragili e infedeli. Giubilo irrefrenabile di lode al Padre. Pianto prorompente per la morte dell’amico Lazzaro. E alla fine, questa Parola si farà urlo di dolore sulla croce. E poi si spegnerà nel silenzio della morte. E finalmente, al mattino del terzo giorno, la Parola fatta carne, e carne crocifissa, risorgerà. E sarà sussurro di tenerezza per Maria di Magdala, presso la tomba vuota. E si farà domanda d’amore per Simone Pietro, presso il mare di Tiberiade. E infine – ma è l’inizio senza fine – questa divina, umanissima Parola si farà promessa e compagnia, sul monte, nella Galilea delle genti: “Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
- Natale: una Parola di luce e di vita. Questa Parola è la luce che ci occorre per vivere in un tempo drammatico di pandemia globalizzata, come il presente. E per rispondere alla domanda che ribolle da sempre nel cuore umano, e che di questi tempi si è fatta ancora più incalzante: che senso ha vivere se poi si vive solo per morire?
La Parola fatta carne ci dice che noi siamo fatti così… Veniamo al mondo con una prepotente fame di immortalità. Entriamo nella vita con una insaziabile sete di bene e veniamo aggrediti dagli insulti osceni del male. Più andiamo avanti negli anni e più ci morde la penosa sensazione di non bastare a noi stessi. Bramiamo più vita e ci avviciniamo sempre più velocemente alla morte. Aneliamo alla verità e sperimentiamo falsità e lurida menzogna. Amiamo amare ed essere amati. Insomma nutriamo un sogno struggente e un bruciante bisogno di felicità. Ma prima o poi ci rendiamo conto che la lacerante nostalgia di Infinito, di Assoluto, di Eterno che ci avvampa in cuore è la firma di Dio al capolavoro che lui stesso vuole fare di ognuno di noi. Allora ci ritroviamo a dovere onestamente riconoscere che solo Dio può placare l’inquietudine che ci abita e irresistibilmente ci agita.
Perché a Dio “tutto è possibile” (Mc 10,27). È vero. Ma è altrettanto vero che Dio non può nulla contro la libertà dell’uomo che gli volta le spalle. E però nessun rifiuto da parte dell’uomo può impedire alla libertà di Dio di amare quella figlia o quel figlio, fino a sacrificare se stesso. Questa è la parola di luce che viene dalla croce: l’amore gratuito di Dio si riversa su tutti. Perfino su chi non lo accoglie. Perfino su chi lo rifiuta.
Questa è la Luce che viene dalla Croce, ma che comincia a risplendere nel Natale. Quando “è apparsa la grazia – l’amore gratuito -– di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11). Quando è nato il Bambino che, facendosi mortale, ha guarito la nostra mortalità, e con la sua risurrezione “ha fatto risplendere la Vita” (cf. 2Tm 1,10).
Siamo pertanto autorizzati ad accogliere la notizia più lieta di tutte le notizie possibili e immaginabili: che sperare nella realtà di una vita nuova e buona si può.
Questo è l’augurio natalizio che ritengo più bello e più vero.
+ Francesco Lambiasi