Al Cinema Fulgor è in programmazione La casa dei libri di Isabelle Coixet, che si è da poco aggiudicata il Premio Goya (il più importante riconoscimento cinematografico spagnolo) come miglior film.
La Coixet è ormai diventata a tutti gli effetti una regista di statura internazionale, che nel corso degli anni ci ha abituato a drammoni strappalacrime ma anche ad esperimenti non troppo riusciti come il thriller Another Me, presentato nel 2013 al Festival di Roma. La casa dei libri è però un’opera in qualche modo spiazzante per la sua coraggiosa e ricercata inattualità: la camera si muove pochissimo, le parole sono garbate e compìte, gli atteggiamenti in tutto e per tutto british: un insieme di fattori che fa sembrare quasi che il film sia realmente girato negli anni in cui è ambientato.
Provincia inglese, fine anni Cinquanta. Ispirato al romanzo La libreria (1978) di Penelope Fitzgerald, il film avvolge sin da subito con un gradevole anacronismo la fruizione dello spettatore. La situazione iniziale, pure, sembrerebbe piuttosto prevedibile: Florence Green ha perso il marito nella seconda guerra mondiale e ha deciso di aprire una libreria in suo onore, in un’area culturalmente depressa. La sua impresa non sarà però semplice, perché nella cittadina c’è chi vuole utilizzare l’edificio per altre iniziative e farà di tutto per fermarla. Florence, però, potrà fare affidamento sulla collaborazione di una bambina e di un anziano appassionato lettore.
Le premesse, dunque, sembrerebbero delle più noiose, a meno che non siate dei feticisti del libro, e possiate quindi apprezzare le insistite ed erotiche inquadrature che la Coixet riserva alle varie copertine. Un film da tea time, forse, sarebbe il titolo migliore: party in cui le chiacchiere e gli sguardi sono centrali, porte che cigolano, pettegolezzi femminili, personaggi solitari avvolti dal mistero.
Però, come ho scritto all’inizio, ideare nel 2018 un film del genere con una tale coerenza interna (totalmente aliena rispetto all’orizzonte di attesa dello spettatore) si rivela una scelta molto particolare e degna d’attenzione. Un film che trova la sua ragion d’essere non nel suo essere al passo con i tempi, ma nel suo spiazzante anacronismo.
Quando Florence giunge in quella zona provinciale della Gran Bretagna la voce narrante (di cui scopriremo solo alla fine l’identità) ci fa quasi sentire il piacere che la letteratura può regalare, anche a livello fisico. A differenza di molti altri aspetti che la rivoluzione digitale ha ormai fagocitato del tutto, la lettura (e direi anche il libro che resiste sull’e-book, come dispositivo) conserva intatto il suo significato originario, cui la Coixet rende omaggio con un film profondamente inattuale in ogni suo aspetto, ad eccezione – appunto – dei libri.
Edoardo Bassetti