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Rimini, hotel Aurum: per la Cassazione l’ordine pubblico non giustifica un mancato sgombero

La vicenda della mancata ottemperanza “all’ordinanza sindacale contingibile” ed urgente che ha interessato l’ ex Albergo Aurum di Viserba e riportata gli scorsi giorni anche da Chiamamicittà.it, può essere l’occasione per riprendere alcuni importanti principi espressi recentemente dalla Corte di Cassazione (Sezione III, civile,  Sentenza 13 luglio-4 ottobre 2018 n. 24198) in tema di “Responsabilità della P.A. da condotta illecita per mancata attuazione di provvedimenti sgombero”.

La situazione riguardava, chiariamolo preventivamente in modo da non confondere in punto di fatto e diritto le due vicende, “l’inerzia del Ministero dell’Interno (protratta per più di 6 anni) a mettere a disposizione la forza pubblica in presenza di un provvedimento emanato dall’autorità giudiziaria penale”: si trattava di cinquanta appartamenti siti a Firenze e a Sesto Fiorentino occupati abusivamente da anni.

La Suprema Corte, cassando la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che negava ai proprietari il risarcimento del danno,  precisava che “l’omessa attuazione, da parte degli organi di polizia o delle altre amministrazioni a ciò preposte, dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria costituisce un fatto illecito in sede civile, e può costituire un delitto in sede penale, come già affermato da Cassazione, sezione Unite, 1° agosto 1962 n. 2299″.

Era interessata “la natura primaria del dovere dall’autorità amministrativa di apprestare i mezzi per l’attuazione coattiva dei provvedimenti giurisdizionali“. Mentre, nel caso viserbese,  si parla di “esecuzione (non attuata) di una ordinanza sindacale”, ergo di un provvedimento amministrativo e non giurisdizionale con “un’apertura di un fascicolo” a carico del proprietario (così è stato riferito dal consigliere Renzi) per  violazione dell’art. 650 C.P. (“Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”).

Questa differenza ontologica tra le due situazioni di fatto, però, non rileva sull’autorevolezza di alcuni principi giuridici espressi dalla Suprema Corte in materia di “comparazione di interessi tra ordine pubblico e tutela della proprietà privata; tolleranza dei soprusi e principio di legalità; discrezionalità nell’attività della P.A. e esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali“.

Vediamoli sinteticamente:

  1. «Esiste un obbligo della Pubblica Amministrazione. di dare incondizionata attuazione ai provvedimenti giudiziari», in quanto è di natura «strumentale e ausiliaria» l’assistenza della forza pubblica all’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali, con la conseguenza che non può essere consentito alla p.a. decidere di differirne l’esecuzione (Corte cost. 24.7.1998 n. 321). Quindi,  l’apprestamento della forza pubblica da parte della P.A. è «doveroso»;
  2. Se la P.A. «ardisce sindacare l’opportunità di un provvedimento giurisdizionale» , essa «tiene una condotta illecita»;
  3. «Il primo criterio cui deve ispirarsi la P.A. è la legalità», e «legalità non v’è quando si tolleri l’altrui sopruso, dal momento che chi accetta l’illegalità, la avalla»;
  4.  La mancanza di mezzi «aggrava, invece che scusare, la P.A. che non garantisca l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali».
  5. Che «si tratti di dare esecuzione ad un ordine di ripristino dei segni di confine tra fondi miserrimi, o di assicurare alla giustizia il più spietato boss d’una cosca sanguinaria», la discrezionalità amministrativa cessa altrimenti, per dirla con Blaise Pascal, «non rendendo forte la Giustizia, si finirebbe per rendere giusta la Forza».
  6. «Tollerare il crimine, per di più commesso da masse organizzate ed agguerrite in pregiudizio di cittadini indifesi, è una ben strana forma di tutela dell’ordine pubblico: questo si tutela ripristinando la legalità violata, e non già assicurando al reo, per sei anni (arco di tempo del mancato intervento e quindi della mancata esecuzione dell’ordine di sgombero), il godimento del frutto del reato»;
  7. Nessuna comparazione o bilanciamento di interessi è consentito alla P.A., quando vengano in conflitto l’interesse accampato da chi ha violato la legge (l’occupante abusivo), e chi l’ha rispettata (il proprietario dell’immobile occupato); sicché è impensabile che per ragioni di ordine pubblico si possa dare preferenza al primo;
  8. «Sono del tutto irrilevanti, ai fini dell’affermazione della responsabilità della P.A., le ragioni per le quali l’immobile da sgomberare venne occupato; quella occupazione fu un delitto, che non cessò di esser tale sol perché il reo si trovasse in uno stato – vero o presunto – di bisogno; se cosi non fosse, si perverrebbe al paradossale risultato che qualsiasi usurpazione dei beni e dei diritti altrui finirebbe per essere giustificata da veri o presunti”stati di bisogno”, e ne sarebbe disintegrata la stessa convivenza civile»;
  9. «E’ contrario al diritto, alla logica e sinanche al buon senso sostenere che, dinanzi ad una aggressione generalizzata alle proprietà private, si debba “lasciar fare”, altrimenti il reo potrebbe divenire vieppiù violento: in questo modo si garantirebbe non l’ordine, ma il disordine pubblico, dal momento che proprio dove più intollerabile è stato il sopruso, là più forte deve essere la reazione dell’ordinamento e dello stato di diritto: coercendae licentiae et criminibus vindicandis».

E’ anche presente una curiosa nota “filosofica” nella motivazione della Cassazione quando invoca il paradosso di Epimenide nel contestare le motivazioni della Corte di Appello di Firenze: «l’occupazione abusiva di un intero immobile da parte di una massa di persone organizzate fu essa, di per sé, il fatto turbativo dell’ordine pubblico. Pertanto affermare che giustamente essa fu tollerata per evitare più gravi proteste, significherebbe che per ragioni di ordine pubblico si può tollerare la violazione dell’ordine pubblico: e la contraddizione non lo consente».

In buona sostanza i giudici di Piazza Cavour ritengono che «la politica di welfare per garantire il diritto ad una casa non può compiersi a spese dei privati cittadini».

Se l’amministrazione «intenda dare alloggio a chi non l’abbia, la via legale è l’edificazione di alloggi o l’espropriazione di private dimore secondo la legge e pagando il giusto indennizzo, e non certo garantire – ché, di fatto, di questo si trattò – a dei riottosi il godimento dei beni altrui».

Il rinvio alla Corte di Appello di Firenze contiene il seguente principio di diritto al quale i giudici fiorentini dovranno conformarsi:

«la discrezionalità della P.A. non può mai spingersi, se non stravolgendo ogni fondamento dello Stato di diritto, a stabilire se dare o non dare esecuzione ad un provvedimento dell’autorità giudiziaria, a maggior ragione quando questo abbia ad oggetto la tutela di un diritto riconosciuto dalla Costituzione o dalla CEDU, come nel caso del diritto di proprietà, tutelato dall’articolo 41 Cost. e dall’articolo 6 CEDU ed articolo 1 del Primo Protocollo addizionale CEDU. È pertanto colposa la condotta dell’amministrazione dell’Interno che, a fronte dell’ordine di sgombero di un immobile abusivamente occupato vi aut clam, trascuri per sei anni di dare attuazione al provvedimento di sequestro con contestuale ordine di sgombero impartito dalla Procura della Repubblica».

Roberto Biagini

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