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Rimini ha le sue terme imperiali: svelato lo scavo di via Melozzo – FOTO

E ora Rimini ha anche le sue terme imperiali. Ormai non ci sono più dubbi: quello che è emerso dallo scavo archeologico in via Melozzo da Forlì appartiene a un complesso con ogni probabilità risalente al primo secolo dopo Cristo. Qualcosa di estremamente lussuoso, ornato di marmi pregiati, raffinati intonaci dipinti e mosaici. Ancora da stabilire se le terme fossero pubbliche, oppure la grandiosa “spa” di una sfarzosa villa privata sub-urbana. La residenza di un personaggio di primissimo piano, tanto facoltoso da pretendere il meglio.

L’archeologa Federica Lelli

Finora a Rimini non erano mai stati trovati reperti che ci parlassero con certezza di terme. Certamente nella città è la prima volta che uno scavo restituisce una testimonianza così ampia su un impianto di questo tipo. Non a caso riemerso in un’area ricca di acque: da quelle del vicino torrente Ausa alle fosse Patara e del Mavone. Ieri i primi risultati delle ricerche sono stati illustrati dagli archeologi di Phoenix, che lavorano sotto la supervisione della Soprintendenza di Ravenna. Alcuni turni di visite andati immediatamente esauriti appena il Museo della Città, martedì scorso, ha aperto le prenotazioni.

La struttura ad abside che si è rivelata una vasca termale, ancora colma di macerie dell’edificio crollato

Nel febbraio scorso durante i lavori Hera per l’ultima conduttura fognaria del PSBO erano venute alla luce strutture murarie indubbiamente molto antiche. Una sorpresa, perchè ci si trova nel Borgo S. Andrea, dunque fuori dalle mura di Rimini e in un’area dove le fonti storiche non ricordano gran che. Fra le prime ipotesi, si pensò a costruzioni medievali, forse quel primo convento duecentesco delle Santucce che si sa dovesse trovarsi da queste parti, ma non è stato mai individuato. Un’ipotesi che a questo punto si può escludere del tutto. Ci troviamo di fronte a qualcosa di almeno mille anni più remoto e certamente non un edificio religioso cristiano.

L’archeologa Federica Lelli nella sua spiegazione si è presa tutte le cautele del caso: “Lo scavo è ancora in corso, le datazioni tutte da verificare”. Però vi sono elementi che lasciano pochi dubbi.

Il mosaico a tessere bianche e nere

Innanzi tutto il mosaico: vaste superfici decorate con tessere bianche e nere, a motivi geometrici. Lo stile è quello del primo secolo dell’era volgare. A Ostia Antica ne sono stati trovati di praticamente identici. Esempi molto simili anche nella “Domus del Centenario” di Pompei, dunque sempre in pieno I secolo dopo Cristo. Il mosaico conduce a un ambiente semircolare, quell’abside che subito aveva attratto l’attenzione degli studiosi. Ora possiamo dire che si tratta di una vasca, scavata in profondità nel terreno e anch’essa rivestita di mosaico. Fra i detriti, pezzi di quei mattoni “tubolari” utilizzati dai romani nelle terme per le condutture dell’aria calda.

Mattone tubolare per convogliare aria riscaldata

“Mai trovati tanti marmi in trent’anni di scavi!”, esclama uno degli archeologi. I reperti finora venuti alla luce parlano infatti di un uso abbondantissimo del materiale più costoso dell’epoca, essendo sempre di importazione e talvolta da luoghi lontanissimi. Qui venne impiegato anche per intarsi figurativi, come si intuisce dalla forma sagomata di alcuni frammenti. Ora si studieranno più a fondo per individuarne la provenienza. Per il momento si è notato un marmo giallo che solitamente arrivava dall’Egitto, un altro forse dalle cave di Carrara, mentre spicca il porfido rosso di Verona che a Rimini verrà ancora scelto da Sigismondo Malatesta per il suo Tempio.

Marmi delle decorazioni parietali

Intonaci dipinti

Ambienti dunque estremamente sfarzosi, tanto più che le pareti non rivestite di marmo erano affrescate con gusto delicato. Dipinti anche gli intonaci dei soffitti. Mentre i mosaici non si limitano alla vasca e allo spazio circostante. E’ stato scoperto anche un secondo ambiente, ancora non del tutto scavato, dove un altro pavimento musivo era appoggiato su colonnette, allo stesso modo di quello visibile nella Domus del Chirurgo di piazza Ferrari. Pavimento dunque riscaldato, convogliando nelle intercapedini sottostanti l’aria portata a temperatura oppurtuna da un’apposito forno.

Sotto la conduttura Hera giace un altro pavimento musivo che veniva riscaldato attraverso intercapedini sottostanti

Numerose le monete ritrovate, la più antica addirittura risalente alla fondazione di Ariminum, in età repubblicana nel III secolo a.C. Raffigura su un verso la prua di una nave rostrata, sull’altro la testa di un Gallo: erano le tipiche valute usate dai nuovi padroni romani per commerciare con le popolazioni celtiche preesistenti e appena soggiogate. Di età repubblicana anche un “pocula deorum”, una scheggia di ceramica su cui è stata graffita un’invocazione a una divinità.

Moneta romana del III sec. a.C in uso nei commerci con i Galli

Ma le strutture murarie fin qui individuate non sono così antiche, anche se le terme ebbero una vita piuttosto lunga. La moneta più recente è dell’imperatore Massimino il Trace (235-238 d.C). E non manca “l’oggetto misterioso”: un dodecaedro. Dodici facce, diffuso fra I e IV secolo, in bronzo o talvolta in pietra. Ma nessun testo antico ne parla. E ancora nessuno è riuscito a capirne lo scopo. Ne sono stati trovati più di cento, dal Galles all’Ungheria, dalla Spagna al versante orientale dell’Italia, la maggioranza in Germania e in Francia. L’elenco delle ipotesi fin qui avanzate la dice lunga sul buio in cui brancolano gli studiosi. Serviva a migliorare il tiro delle fionde, o a controllare il calibro delle tubature? A fabbricare tessuti, o a calcolare distanze, oppure i giorni sul caledario? Come amuleto o come semplice giocattolo dei bambini? Un mistero irrisolto dell’archeologia cui anche Ariminum ora aggiunge un suo tassello.

Il dodecaedro

Dodecaedri romani ritrovati in Germania (Rheinisches Landesmuseum di Bonn)

Villa o terme pubbliche che fossero, questo grande e ricco complesso a un certo momento subì una distruzione. Crollato per un evento sismico e mai più ricostruito perchè i tempi ormai non lo consentivano più? Oppure devastato come la Domus del Chirurgo durante le incursioni barbariche del III secolo? Per ora non possiamo dire nulla in proposito. Di certo il sito dopo la catastrofe viene abbandonato. Come in piazza Ferrari, col tempo vengono scavate delle sepolture che vanno a sfondare il mosaico sottostante.

Le monete ritrovate, da quelle romane al XVI secolo, alcune illeggibili

Gli stati ancora superiori tornano a restituire monete dal XIII al XVI secolo. Del Cinquecento è anche una brocca per acqua dai bei colori. Ci sono tracce di strade in ghiaino, più volte rifatte. Ma sono viottoli di campagna, non c’è più traccia di costruzioni importanti. Invece, ecco riemergere umili utensili di contadini: un falcetto, una scure, chiodi, elementi da telaio in terracotta.

Brocca rinascimentale

 

Utensili contadini in ferro

I campi restano tali fino ai primi dell’Ottocento, quando qui viene sistemato il foro boario; in precedenza il mercato del bestiame di Rimini nell’attuale Via Raffaele Tosi, a due passi da piazza Ferrari. Per secoli i riminesi avevano dunque visto sfilare in pieno centro le mandrie provenienti dal forese, finchè in epoca napoleonica si provedette anche a questa nuova infrastuttura a beneficio dell’igiene pubblica.

Lo scavo di via Melozzo da Forlì finora interessa un’area di 160 metri quadrati. Si andrà avanti finchè si potrà, dopo di che resterà da decidere cosa fare con quel che è venuto alla luce, a iniziare dai mosaici.

Stefano Cicchetti

 

 

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