Il Gip di Rimini Manuel Bianchi ha convalidato l’arresto di Somane Duula, il 26enne che sabato scorso ha seminato il terrore per Rimini. Le accuse di tentato omicidio sono confermate. Secondo il giudice delle indagini, Duula certamente voleva uccidere Daniela Girone, l’addetta al controllo dei biglietti sul filubus di Start Romagna: la teneva per i capelli mentre colpiva con più fendenti, dopo averla chiamata “bitch” – “puttana” in inglese – come hanno confermato i testimoni. E voleva uccidere anche il piccolo Abu Bakar Siddique Tamim di soli sei anni, che si trovava in un minimarket di viale Regina Elena “non certo nello spazio ristretto di un bus”, facendo escludere che i colpi fossero distribuiti del tutto a casaccio.
Le accuse sono invece di lesioni personale aggravate per le aggressioni sempre a colpi di lama contro l’altra controllora Elisa Borsieri, poi la giovane Paola Tamburini ferita alla gola mentre si trovava alla fermata del Metromare di Miramare, quindi Rosa Torrisi di 77 anni colpita di striscio al collo nei pressi dell’Hotel Fedora. A carico del somalo anche l’accusa di tentata rapina di danni di Antonio Valentini, che si era fermato nella sua auto per riposare qualche istante, cui Duuna voleva portar via l’IPhone minacciandolo con un paio di forbici.
Nell’ordinanza di convalida viene ricostruito attimo per attimo la drammatica sequenza di quell’11 settembre, fino alla cattura nel vicolo cieco dell’Hotel Canada. Accertato anche l’arsenale di lame che Somane Duula si portava addosso. Oltre al set di posate da tavola e le forbici, anche un coltello da cucina di 22 centimetri con lama appuntita lunga 10 centimentri.
Tutti questi atti sono “connotati dall’utilizzo di armi e violenza (o minaccia) alla persona, prevedono l’arresto in ogni caso come perfettamente legittimo, stante la notevole gravità dei fatti e la pericolosità del soggetto, desunta dalla sua completa incapacità di porre freno ai propri impulsi aggressivi”. Alcuni compiuti durante la fuga addirittura sotto gli occhi degli agenti all’inseguimento, a loro volta fatti segno di sassi prelevati dalla massicciata della ferrovia e minacciati con le forbici.
Di qui la necessità della custodia cautelare, in particolare per “evitare il concreto pericolo che il detenuto, se rilasciato libero, commetta altri delitti della una stessa specie”. Custodia che deve essere in carcere, perchè “il difetto di autocontrollo del Sonane e l’inconcepibilità anche in astratto, sotto il profilo del requisito di un minimo di autodisciplina, di una misura di contenimento meno rìgida”.
Sullo stato mentale dell’indagato, il giudice osserva che “anche all’esito dell’interrogatorio di convalida, nonostante il prevenuto abbia risposto in modo assolutamente delirante alle domande postegli dal Giudice, non è possìbile escludere – ne tantomeno però affermare – l’ipotesi di una metuttessinscena, specie se riscontri specifici di un disturbo mentale non emergano dalla documentazione precostituita al processo o da fatti precedenti, comunque oggi non risultanti dagli atti dell’incarto processuale”.
Il difensore, avvocato Maria Rivieccio, ha comunque richiesto la perizia psichiatrica.