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Rimini: domani al meeting primo spettacolo teatrale. “Il sogno di un uomo ridicolo” di Fëdor Dostoevskij

Teatro al via degli spettacoli del Meeting 2020 dedicato alla meraviglia e al sublime, il 18 agosto alle 22 con “Il sogno di un uomo ridicolo” di Fëdor Dostoevskij (1877). Una produzione video Meeting per l’amicizia fra i Popoli, tratto dall’omonimo spettacolo interpretato da Mario Sala Gallini, autore anche, con Fausto Malcovati, dell’adattamento per il Teatro Out Off di Milano, che sarà possibile vedere in streaming sul sito www.meetingrimini.org/edizione-2020.

 

Protagonista del racconto è un uomo che si sente inadeguato alla vita e alle relazioni con le altre persone che gli sono, con il tempo, divenute assolutamente indifferenti, come, del resto, tutto ciò che lo circonda. Per questo motivo il pensiero del suicidio ha iniziato ad attirarlo, fino alla sera in cui… Un racconto fantastico nel senso più proprio all’autore.

La regia è di Lorenzo Loris e Stefano Sgarella, la direzione della fotografia di Sgarella e Lucia Fontana.

Mario Sala ha lavorato in teatro, tra gli altri, con Carlo Cecchi, Giampiero Solari, Dario D’Ambrosi, Toni Bertorelli, Massimo Navone, Andrè Ruth Shammah. Dall’assidua collaborazione con Lorenzo Loris e col Teatro Out Off sono nati, tra gli altri, gli spettacoli: “Naufragi di Don Chisciotte” di Massimo Bavastro (2002, Premio della Critica), “Note di cucina” di Rodrigo Garcia (2003), “Bingo” di Edward Bond (Premio UBU 2005 come migliore novità straniera), “Terra di nessuno” e “Il Guardiano” di Harold Pinter (2010, Premio dell’Associazione Nazionale della Critica), Vera Vuz di Edoardo Erba (2013). È anche autore di libri per l’infanzia per l’editore Mondadori.

La pièce sarà introdotta da Tat’jana Kasatkina, direttrice del Centro di ricerca “Dostoevskij e la Cultura mondiale” presso l’Istituto di letteratura mondiale dell’Accademia russa delle Scienze. Con la collaborazione di Elena Mazzola, linguista e traduttrice.

Chiuderanno interventi raccolti tra gli studenti di Modena e Mosca che hanno partecipato in questi anni ai seminari di lavoro sul testo organizzati dall’associazione “Il mondo parla”.

Un percorso segnato da quelle che sempre sono le parole d’ordine dell’opera del grande scrittore russo: sofferenza, indifferenza, compassione, salvezza dall’autodistruzione, andando alla ricerca della felicità attraverso una “Visione della Verità” che giunge al protagonista attraverso un sogno. Una nuova vita sognata come comunicazione ancora più vasta e completa con tutto il Creato. Un’opera che riesce a parlarci ancora oggi della necessità dell’utopia proprio in un momento in cui il futuro, più che un sogno fantastico, è un incubo distopico.

«La nostra scelta per rappresentarla – dice il regista Lorenzo Loris – è stata radicale. Abbiamo prosciugato ogni aspetto predicatorio, cercando di far emergere oltre che un valore religioso più universale, anche una visione profeticamente apocalittica del mondo contemporaneo su cui poter riflettere, filtrata però attraverso il candore e la simpatia del protagonista. Dostoevskij sceglie, per diffondere “la lieta novella”, un uomo insignificante, un emarginato: proprio dai più umili può iniziare il riscatto».

«Questo racconto, in uno spazio piccolissimo – sottolinea Tat’jana Kasatkina – enuncia tutti i temi fondamentali dell’ultimo Dostoevskij. In un certo senso si tratta del suo manifesto. Un racconto sulla malattia dell’uomo contemporaneo, che per Dostoevskij è l’isolamento, il separarsi da tutti gli altri, e quale sia la possibilità di curarla. Uno dei sintomi più importanti ed evidenti di questa malattia è l’assenza della capacità di meravigliarsi, o, come si esprime egli stesso, il fatto che tutto gli sia diventato uguale, che tutto è indifferente, che non distinguiamo più i volti, l’essenza del mondo, e tutto è uniformato, uguale. L’essere tutto uguale è l’entropia totale che annichilisce tutte le domande che si possono fare su Dio, sull’uomo e sul mondo, e che si possono fare solo quando si prova meraviglia. La parola russa che indica meraviglia è “удивление”, che ha la stessa radice di “divino” e può significare letteralmente l’avverarsi del divino in ciò che ci sta davanti e che ci fa meravigliare. È ciò che spacca i confini invalicabili dell’isolamento, perché quando ci meravigliamo si rivela lo strato più profondo che è in noi, che parla direttamente al divino che c’è in noi».

Così conclude il critico Fausto Malcovati: «La bellezza salverà il mondo, dice Dostoevskij ne “L’idiota”: non è la bellezza esteriore, è una bellezza interiore che nasce dall’amore. Facciamo gesti d’amore e saremo belli».

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