“Che cosa succede quando entriamo in una biblioteca? Proviamo stupore e meraviglia”. Le parole sono di Oriana Maroni, direttrice della Biblioteca Gambalunghiana. Stupore e meraviglia, credere che le cose stiano così non è difficile, quando poi si scopre che la biblioteca in questione ha ben 400 anni di storia alle spalle. Le emozioni descritte dalla direttrice fungono da premessa per l’ultimo grande (e duraturo) evento che celebrerà il quadri centenario a partire da domani 25 ottobre fino al prossimo 26 gennaio, la mostra “Per documento e meraviglia. Una storia lunga 400 anni”, curata proprio dalla Maroni con la collaborazione per la sezione storica dello scrittore Piero Meldini e il contributo di Maria Cecilia Antoni e Nadia Bizzocchi.
Un percorso che si snoda nel tempo da una parte, all’interno delle sale antiche dello storico edificio di Via Gambalunga attraverso codici esposti in via del tutto inedita, tra cui la splendida copia dell’Astronomicon di Basinio, tra gli studiosi e scenziati più in vista all corte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, e le opere trascritte di Jano Planco, e altri studiosi riminesi come Massimo Battarra. Fiore all’occhiello dell’esposizione il focus dedicato a Rimini, – “Rimini Cos’è” -nelle sale della Galleria dell’Immagine, al piano terra della Biblioteca che Gambalunga lasciò in eredità divenendo di fatto il fondatore postumo, dopo la morte avvenuta il 14 agosto del 1619. Alla Galleria dell’immagine ad accogliere i visitatori tre “aforismi” dedicati a Rimini.
La mostra nella Galleria dell’Immagine: “Rimini, cos’è”
Il primo è estrapolato dall’immaginario felliniano – che da il titolo al percorso -il secondo da Pier Vittorio Tondelli, che al capoluogo romagnolo dedicò uno dei suoi romanzi più famosi, “Rimini” appunto e addirittura dal film “Da Zero a Dieci” di Luciano Ligabue. E poi un lungo percorso che comincia con la scena iniziale del capolavoro cinematografico ambientato e girato a Rimini dal regista Valerio Zurlini che vede come protagonista un giovane Alain Delon, che spiega ad alcuni turisti arrivati dal porto la posizione geografica di Rimini “nel nord italia tra Venezia ed Ancona. E poi scorrono in video le gallerie di immagini che raccontano la storia di Rimini dal seicento ad oggi. Come spiega Oriana Maroni, “Rimini è stata spesso paragonata ad altre realtà mitiche. E’ stata la Las Vegas d’Italia, o l’Ostenda d’Italia. Adesso Rimini si sente Rimini”.
Le sale storiche e i codici
Al primo piano della Biblioteca Gambalunga comincia il viaggio nel tempo tra le sale storiche e i codici antichi ospitati e custoditi tra le mura dell’edificio storico. Nella novecentesca Sala des Vergers, inizia il racconto della Rimini dei secoli XIV e XV, ovvero dal dominio malatestiano, focalizzandosi sul periodo di maggior splendore, quello della signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468). Con codici come la Regalis Historia sulle origini della famiglia Malatesta che aveva la pretesa di discendere da Scipione l’Africano.
Ed è qui che è esposto l’Astronomicon di Basinio “tra i più importanti intellettuali alla corte di Sigismondo” come ricordato dallo storico Piero Meldini. Parliamo di “un poema sulla volta celeste, scritto in un’epoca quando il rapporto con il cielo stellato era intenso e certamente diverso da oggi”. Da ricordare che tutti i codici e i testi sono e saranno consultabili grazie alla nuova teca virtuale inaugurata da poco in Biblioteca accanto alla sala dedicata alla consultazione dei giornali. Un’occasione per sfogliare e leggere in profondità, con l’aiuto delle nuove tecnologie virtuali anche il codice di Basinio. Ed ecco comparire in video le splendide le raffigurazioni delle costellazioni, con stelle e pianeti viste dall’immaginazione dell’uomo del Quattrocento.
Per la prima volta esposto al pubblico grazie a Crédit Agricole Italia, che lo presta alla Gambalunga, il codice – con dedica a Malatesta Novello, fratello di Sigismondo Pandolfo e signore di Cesena, scritto alla Corte di Sigismondo Malatesta nel 1455 – fu acquistato nel 1992 dalla Cassa di Risparmio di Rimini ad un’asta di Sotheby’s a Londra, ed è entrato a far parte delle Collezioni d’arte di Crédit Agricole Italia. Nei dettagli, le pagine sulle quali è stato simbolicamente aperto codice originale custodito ed esposto nella Sala des Vergers raffigurano la costellazione dello scorpione.
Stelle e pianeti tornano di nuovo protagonisti nel racconto della Rimini del XVII secolo, ma questa volta per una disputa tutta… astrologica. È un secolo durante il quale si sviluppa una riflessione appassionata sull’identità cittadina. A un anno di distanza l’uno dall’altro, ad esempio, vengono pubblicati il Raccolto istorico di Cesare Clementini (1616) – prima storia generale della città fondata, almeno in parte, sui documenti – e il Sito Riminese di Raffaele Adimari (1617), sorta di zibaldone su Rimini e dintorni. Nel primo si narra anche delle origini mitologiche della città: suoi fondatori sarebbero stati Ercole e Noè. Ma essendo antica convinzione che ogni città avesse il proprio segno zodiacale, e che da questo dipendessero i suoi destini e l’indole dei suoi abitanti, si rese anche necessario risolvere la disputa se Rimini fosse del Cancro o dello Scorpione. Ci si rivolse dunque al parere di Malatesta Porta, cittadino e segretario dell’illustre Comunità di Rimino, che emise il proprio verdetto intorno al segno celeste ascendente della città. Il verdetto dirà Scorpione, che preannuncia incostanza, pigrizia e sensualità.
E c’è spazio anche per il libello Ariminensis Rubicon in Caesenam Claramonti (1641), sul tema che solletica l’orgoglio di più di una città romagnola: la localizzazione del fiume attraversato da Cesare.
Nella la sezione Settecentesca, domina la figura di un altro riminese illustre. Parliamo di Jano Planco (Giovanni Bianchi), fine scienziato ed intellettuale, in contatto con i maggiori intellettuali dell’epoca, a partire da Voltaire. Ma dalla personalità irruenta. Tra le opere in mostra anche Il vitto pitagorico, un libello anti vegetariani in cui Planco se la prende con Antonio Cocchi (1695-1758), “collega” che aveva scritto in favore del regime vegetariano.
Il Settecento è anche il secolo del terremoto che la notte di Natale del 1786 gettò nel panico la città. Del 1787 è l’opuscolo Discorso istorico-filosofico sopra il tremuoto dell’arciprete Giuseppe Vannucci (1750-1819), allievo del Planco, in cui sosteneva la “teoria elettricista”, oggi del tutto superata, che riteneva che i terremoti fossero generati da violente scariche elettriche d’origine atmosferica o sotterranea.
Il percorso nelle sale antiche propone anche l’installazione Ex libris per luci cangianti, a cura di Annamaria Bernucci, realizzata dall’artista visivo Daniele Torcellini che costruisce una sinestesia di segni e forme e colori di luce che vestiranno i libri e i codici e le insegne gambalunghiane di nuove sembianze. Una operazione che dilata l’esperienza della memoria, per rendere omaggio al fondatore della Gambalunghiana, inseguendo una strada allusiva e metaforica attorno ai libri. Il percorso si avvale dell’utilizzo di luci cangianti, riconducibili a un’espressione estrema di astrazione, nell’avvolgente penombra delle stanze antiche, assorbite dal silenzio. Un ponte passato-presente, costruito e fatto di luce, sfidando le leggi della storia.
La mostra inaugurerà domani alle ore 17l.30 con un incontro nella sala della Cineteca al quale prenderanno parte il sindaco di Rimini Andrea Gnassi e i curatori della mostra Oriana Maroni e Piero Meldini.