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Rimini, cosa si può fare invece delle microaree per i nomadi

Il 23 Luglio sono scaduti i termini dell’avviso pubblico di avvio confronto per la definizione del “Programma per il superamento dell’insediamento di Via Islanda” e del “Programma comunale per l’individuazione delle microaree familiari” ai sensi della deliberazione di Giunta Regionale n. 43/2016, di cui alla deliberazione di Giunta Comunale n. 148/2018

Tra le osservazioni e proposte vi è quella presentata dal sottoscritto che mette in evidenza, in ossequio alla Legge Regionale, ad esempio, alla maggior inclusione degli occupanti del Campo di Via Islanda, sia nel tessuto sociale che economico e nella fattispecie per le 4 aree, Abitare, Salute, Educazione e Formazione, che le aree individuate sono in contesti agricoli e marginali rispetto anche alla prima periferia del Comune di Rimini, lontani da servizi di prima necessità essenziali quali Farmacie, negozi, scuole, fermate autobus, oltre all’assenza di allacci fognari e gas, come quella di Via Montepulciano e non è soprattutto vero che le aree sono prossime ai servizi pubblici di trasporto e scolastici: l’area di Via Montepulciano si trova ad 1,2 km dalla prima fermata di autobus, non a 300 m come falsamente dichiarato negli allegati, la scuola ed il centro abitato più vicini si trovano a 2 km e la prima farmacia a 4 km, ma non dovevano essere inclusive queste aree?

In altre osservazioni presentate, viene riportata l’esperienza delle microaree modenesi, sperimentate ormai da otto anni, dimostra che la Regione si è dotata di una legge già superata che non ha riportato benefici in termini di integrazione. Anzi permangono moltissimi problemi. Problemi legati al sovraffollamento (perché nel frattempo nascono altri figli che si concentrano tutti nella piccola microarea), al proliferare di aree irregolari che poi aprono il capitolo della loro “regolarizzazione” o “sanatoria”: chi pagherà per aver violato la legge? E infine, dopo otto anni, scopriamo che solo ora il Comune sta vagliando la possibilità della corresponsione di un canone “così come accade per gli alloggi popolari”. E’ evidente che siamo molto lontani dalla logica “diritti e doveri” uguali per tutti” e che per queste fasce di popolazione “i diritti” da tempo immemore superano i “doveri” spesso nemmeno presi in considerazione. Se per la Regione Emilia Romagna questa è integrazione, e se questo è ciò che ci aspetta in altri Comuni, siamo davvero in alto mare. Con buona pace di chi paga tasse e contributi e non riesce ad arrivare a fine mese.

Si contesta inoltre il mancato assolvimento dell’onore di effettivo accertamento, in capo all’ Amministrazione, per l’individuazione dei potenziali beneficiari al progetto sulla base della loro appartenenza etnica (con ogni ragionevole dubbio sulla costituzionalità di tale criterio). Non è idoneo ad assolvere tale onere una semplice un’autocertificazione non supportata da nessun’altra verifica ed indagine, modalità che contrasta pacificamente con ogni principio sul riconoscimento di diritti analoghi a quelli in esame in sede civile ed amministrativa.

Alcune proposte inviate, da me, sono ad esempio: “sistemazioni in appartamenti a canone calmierato e garantito,(parliamo di solo 6 nuclei familiari come previsto dal progetto), utilizzando lo stesso metodo dell’Acer per l’individuazione della superficie necessaria alla famiglia”, il costo in capo al comune di Rimini 40.000,00 in due anni, in attesa di assegnazione di alloggio popolare, con contributo in capo alla famiglia Sinti di 125,00 euro all’anno. A questa somma è previsto un contributo in due anni di 25.000,00 per bollette ( acqua, luce, gas, tassa rifiuti), oltre ad alti 70.000,00 per scolarizzazione minori, formazione professionale come prevede la legge regionale.

Totale costi 40.000,00 + 25.000,00 Bollette + 70.000,00 art. 5 interventi alla scolarizzazione e formazione = 135.000,00 in due anni, mi pare un bel risparmio per tutti noi.

Oppure attivazione in via straordinaria del progetto mirato di Housing First, finanziato interamente dal Comune di Rimini, utilizzando le strutture in gestione all’Associazione Papa Giovanni XXIII.

Totale costi 58.000,00 + 25.000,00 Bollette + 70.000,00 art. 5 interventi alla scolarizzazione e formazione = 153.000,00 in due anni seppur tutto a carico del comune mi pare una buona soluzione.

Altre soluzioni proposte, inviate da altri cittadini, sono l’inserimento degli stessi (Sinti) in graduatorie per accesso alle case popolari (a Genova, Torino, Firenze, Lucca ecc. ecc. questo e’ già stato fatto), oppure coinvolgimento nella riparazione di vecchi immobili di proprietà comunale (a Padova 11 appartamenti sono stati costruiti dai Sinti dopo aver seguito Corsi di formazione e l’importo dell’affitto viene pagato in base al reddito), collocazione temporanea di famiglie in Associazioni o Parrocchie, sempre con l’aiuto di Mediatori Culturali e Assistenti Sociali, dove potranno farsi conoscere e poi poter gradualmente procedere al loro inserimento nella società.

L’effetto di inclusione sociale raggiunge un migliore grado di soddisfazione per tutta la collettività data dalle opportunità che la casa, come luogo di cura di sé, di identità e di appartenenza ad una comunità, offre alla persona. Il nodo critico rimane l’inserimento occupazionale, ma è indubbio che l’accrescimento dell’autostima accresca anche le possibilità occupazionali. E su tutto questo regna il caos totale poiché numerazione di delibere sbagliate, costi non quantificati, vengono richiamati contratti da far firmare assenti come allegati, un bel pasticcio come sempre.

Leonardo Carmine Pistillo

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