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Rimini Coraggiosa, Giorgio Giovagnoli: “Demolizioni e archeologia industriale. E’ tempo di aprire un dibattito”

Ciò che sto per scrivere – afferma Giorgio Giovagnoli di Rimini Coraggiosa – son riflessioni che ritengo utili, non solo per conoscere meglio la storia ultima della nostra Città, ma anche per cercare di capire verso quali orizzonti è proiettata la nostra Rimini.

Proprio in questi giorni abbiamo appreso che nella Vecchia Corderia di Viserba inizieranno i lavori di urbanizzazione per il recupero di quell’area.

Niente in contrario. Sarebbe stato utile che prima di licenziare il progetto i cittadini di Viserba fossero stati coinvolti.

Purtroppo i quartieri non esistono più – scrive ancora Giorgio Giovagnoli – e se ci fossero stati ancora, il Quartiere di Viserba avrebbe dato un suo valido contributo di idee e proposte per quel progetto.

Rimini, nel suo passato, ha avuto una sua storia significativa per quanto riguarda le attività industriali presenti nella nostra Città.

I segni di quella che poteva essere ricordata come archeologia industriale della nostra città sono stati spazzati via e con loro la memoria di quei siti importanti.

Spero che la Sovrintendenza abbia imposto ai progettisti di conservare segni importanti dell’attività che si svolgeva nella Corderia, che, ricordo, fu anche un luogo di prigionia per gli antifascisti riminesi.

Oltre alla Corderia di Viserba a Rimini, nel dopo guerra, esisteva la fabbrica del Ghiaccio dove oggi c’è il Centro studi della Colonnella.

Poi la Fonderia alla Destra del Porto, della quale oggi esiste ancora il capannone e dove si potrebbe realizzare il Museo della Marineria.

Poi la Fornace Fabbri dove ora c’è il lago della Cava, come continuiamo a chiamarlo ancora oggi.

Ricordo l’imponente ciminiera in mattoni, un’opera perfetta, che svettava nel cielo e che noi adolescenti guardavamo con ammirazione.

Allora, sicuramente, la costruzione più alta di Rimini. Mi sono sempre chiesto come sia stato possibile abbatterla.

Ma in fatto di demolizioni Rimini, nella sua storia del dopoguerra, non è stata inattiva.

Ricordo Il Kursaal di fronte al Grand Hotel, il Vecchio Lavatoio in Via di Mezzo, dove si sono spezzate la schiena centinaia di donne del Borgo Sant’ Andrea, tutte colpite dal ginocchio della lavandaia perché costrette ad appoggiarlo contro le pareti del lavatoio per farsi più forza. E poi lo Sferisterio, abbattuto per far posto al Cup che, i riminesi hanno sempre chiamato” la Mutua”. 

Ho avuto la fortuna di vederlo perché nel 1953 si era svolta una Festa dell’Unità. Poco dopo fu abbattuto.

Oggi c’è rimasta solo l’entrata e recentemente, sopra di essa è stato collocato uno stemma in ferro (quello originale era in pietra e fu rubato) che consiglio di togliere perché non si capisce se è un ragno o un polipo e vedendolo, a qualche bambino potrebbero venire le convulsioni.

E poi la demolizione del Palace Hotel, all’angolo fra via Roma e via Dante, dove oggi c’è lo studentato universitario.

Poi ci sono anche le opere che non si sono potuto realizzare come l’Auditorium.

Per motivi di spazio mi fermo qui nell’elencazione di manufatti che oggi non esistono più.

Purtroppo da noi, in passato, troppo spesso l’idea di sviluppo coincideva con l’avanzata del cemento. 

Del resto l’indice fondiario di Rimini era uno dei più alti in Italia: 0,95.

Ho deciso di scrivere queste cose – conclude Giorgio Giovagnoli di Rimini Coraggiosa – per aprire un dibattito su queste problematiche.

La salvezza del nostro patrimonio storico, che sia industriale o architettonico, diventa vitale perché se si spengono le luci sulla nostra storia non saremo più in grado di confrontarci sui grandi temi. E una città che non si racconta o non si esprime è una città che rischia di perdere la sua identità e la sua memoria”.

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