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Rimini, Confcommercio FIPE. Callà: “In arrivo ulteriori privilegi alle imprese agricole. Diciamo no”

Continuano le politiche di apertura verso le aziende agricole, a discapito di tutte le altre attività. La Legge di Stabilità 2018 inserisce all’articolo 47, e con l’approvazione dell’emendamento 47-bis, l’istituzione di “distretto del cibo” e di “enoturismo”, consentendo di fatto alle aziende e cooperative agricole di vendere prodotti trasformati e pronti per il consumo, non specificatamente di produzione propria, anche attraverso strutture mobili e in modalità itineranti.

Una legge oscena e altamente penalizzante – dice sdegnato Gaetano Callà, presidente di FIPE – Confcommercio della Provincia di Rimini –. Si tratta di un ulteriore privilegio che il governo concede agli agricoltori, già abbondantemente aiutati dalle precedenti riforme. Sembra che gli amministratori apprezzino solo questa ristorazione improvvisata senza nessun criterio o formazione a scapito dei grandi professionisti della ristorazione che fanno questo lavoro da anni rispettando precise regole. Ciò significa che per l’impresa agricola non esistono limiti: può vendere e somministrare alimenti sia in sede fissa sia mobile, anche lontano dall’azienda e senza alcun nesso fra luogo di produzione e vendita dei prodotti, né alcuna garanzia per il consumatore che si tratti di prodotti di produzione propria.

Insomma, gli agricoltori sono gli unici che possono di fatto avviare un negozio o un ristorante senza che i locali abbiano destinazione d’uso per queste attività. Così non si valorizza il territorio, ma si distrugge il patrimonio enogastronomico della ristorazione, lasciando a tutti la possibilità di fare tutto, addirittura senza controlli sulla provenienza dei prodotti”.

Leggendo i termini della Legge, Callà sottolinea che “L’articolo 7 viene usato come grimaldello per scardinare ogni vincolo alle attività di vendita e somministrazione da parte degli agricoltori, togliendo ai Comuni ogni possibilità di governance del territorio”.

Un vero e proprio colpo di grazia per “le 300mila imprese italiane della ristorazione che, ricordiamo, acquistano ogni anno 20 miliardi di Euro di prodotti alimentari che assicurano la sopravvivenza anche a migliaia di aziende agricole. Sono queste imprese che versano per i fondi poi dati agli agricoltori, che d’ora di avanti dovremmo in realtà chiamare imprenditori. Sono queste imprese a cui lo Stato chiede tasse e adempimenti di ogni tipo che poi gira come aiuti, fondi a pioggia e sgravi fiscali alle imprese agricole. Un ulteriore segno di poca considerazione da parte delle istituzioni nei confronti della nostra categoria che ogni giorno lavora per rispondere ai criteri e principi di una normativa severa e finalizzata a garantire qualità e sicurezza. Per questo faremo sentire la nostra voce a tutti i livelli istituzionali, affinché venga rispettato un principio molto semplice, ma che evidentemente al governo non tutti conoscono: nello stesso mercato devono valere le stesse regole. Se ci vogliono veder chiudere le saracinesche, questa è la strada giusta. Da Roma alla provincia di Rimini il passo è breve: questa per noi è stata un’estate di denuncia di tutte le feste agricole che hanno imperversato nel nostro entroterra, contro le quali ci siamo scagliati a tutela della nostra ristorazione e del rispetto delle regole. Ma basta venire ai giorni nostri e alla nuova tassa comunale di Rimini sui passi carrai, per la quale sono state individuate come uniche beneficiarie delle agevolazioni proprio le aziende agricole. A questo punto è molto più facile acquistare un ettaro di terreno agricolo e fare quel che si vuole, compreso lo street food itinerante, che aprire un ristorante o un pubblico esercizio rispettando i pesanti adempimenti di settore supportandone i relativi costi”.

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