Trenta anni di storia, che hanno coinvolto oltre duemila civili, giovani e meno giovani da tutta Italia (e non solo). Hanno salvato vite umane, creato spazi di pace, portato speranza, “lenito le ferite dell’odio e ricostruito i ponti del dialogo”.
Operatori di Pace formati attraverso decine di corsi; persone consapevoli dei rischi ma anche che, come diceva don Oreste Benzi, «Il coraggio non sta nel non aver paura, ma nel vincere la paura per un amore più grande». Sono stati oltre venti i conflitti “abitati” in tutto il mondo: dall’Africa all’America Latina, dal Medio all’Estremo Oriente, dai Balcani al Caucaso ed ora, nuovamente, nel cuore dell’Europa, in Ucraina.
Importanti rapporti di collaborazione si sono instaurati negli anni con organismi ed istituzioni nazionali ed internazionali (Nazioni Unite, Unione Europea, altri), con centri per i diritti umani ed Ong, con esponenti di chiese, associazioni e gruppi locali.
È stato un cammino condiviso con migliaia di persone: «Trenta anni — spiega Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII — fanno di Operazione Colomba non più una “sperimentazione” e men che meno una “esperienza“. Si tratta bensì di un pezzo di storia del nostro Paese, una delle parti più belle e più vicine a quel “l’Italia ripudia la guerra”: è la speranza di un nuovo modo di affrontare le controversie internazionali, ancora una volta così attuali e vicine. Si tratta di una alternativa concreta, che funziona (come confermano i numeri), ed è una modalità di intervento decisamente meno dispendiosa di quella militare. Soprattutto l’intervento di civili non armati e nonviolenti in zone di guerra costituisce una storia diversa che apre prospettive nuove, che non crea più “assenza di guerra” ma “pace“, non più “rapporti di forza“, ma “forza dei rapporti”».
Oggi Operazione Colomba non celebra se stessa, ma piuttosto la tenacia di migliaia di persone che in tutto il mondo credono che una alternativa nonviolenta alla guerra esista.