E’ solo un pesante marchingegno di ghisa, un congegno in disuso che la Marina militare ha rottamato. Ma no, è un simbolo, un pezzo di anima della città. Delle città, quelle che stanno sul mare. E sono state in tre a non voler rinunciare al nautofono, la sirena, o “fis-ciòn”, che orientava i naviganti verso la bocca del porto quando cala, o calava, la nebbia: San Benedetto del Tronto, Fano e Rimini. Le altre quattro che ci avevano provato si sono arrese davanti ai più incredibili scogli che la burocrazia ha eretto per non perdere un oggetto dal valore economico irrisorio, 5.300 euro. Ma con un’importanza che può capire solo chi è cresciuto con quel suono cupo, malinconico e carezzevole nelle giornate d’inverno.
Oggi Rimini ha vinto la sua battaglia che durava dal 2013. Il nautofono è stato ufficialmente riconsegnato al sindaco Gnassi dalla Consulta del Porto, nella persona del presidente Gianfranco Santolini durante un incontro al Club Nautico, che lo ha acquistato per donarlo al Comune. Presente anche il comandante Daniele Verdi di MariFari. In realtà l’apparecchiatura non si è mai mossa da Rimini, custodita dal guardiano del faro Vincenzo Colaci. Ma rimetterlo in funzione è stata tutta un’altra storia,
“Tutti questi anni per una vicenda iniziata quando Rimini era a un bivio – ricorda il sindaco Gnassi – dovevamo decidere se in un mondo in crisi globale Rimini doveva restare una città sul mare o tornare a essere una città di mare. Abbiamo scelto di essere città di mare innanzi tutto smettendo di gettarvi i reflui delle fogne e ora stiamo per diventare i primi in Italia a chiudere tutti e undici gli scarichi. Di fronte a investimenti di 230 milioni di euro, questa sirena in disuso sembra una cosa da nulla. E invece è importante, come lo è la riqualificazione di Porta Galliana per cui spendiamo 600 mila euro, che era l’ingresso al porto antico. Come lo stesso invaso del Ponte di Tiberio. Come usare 735 mila bicchieri riciclabili e non di plastica per la maratona. Tutto fa parte dello stesso disegno: da ‘basta merda in mare’ a ‘basta plastica in mare’. E ora avanti con il terzo stralcio dell’avamporto e il nuovo mercato ittico”.
Il sindaco riepiloga ancora una volta l’odissea fra i comandi e ministeri, i tempi biblici – un anno solo per la valutazione dei costi, quando si parla di poche migliaia di euro – le richieste contraddittorie, la soluzione trovata alla fine dai privati della Consulta del Porto: “In questi anni è cambiato tutto, perfino il clima che ha fatto ormai sparire la nebbia, anche questa vicenda spiega coma mai il nostro Paese arriva sempre ultimo”.
E il comandante Verdi non ha difficoltà ad ammettere l’italica propensione a perdersi in un bicchier d’acqua, allo stesso tempo rendendo onore a chi non ha mollato e caparbiamente ha voluto arrivare al risultato: .
Entro Pasqua la sirena tornerà a fischiare, nebbia o non nebbia. Sarà montato come previsto sulla scogliera perpendicolare al RockIsland. E qui si apre il prossimo capitolo, quello dell’avamporto. Il “pennello” che, come ricorda Santolini “ha messo al riparo il naviglio porto di Rimini dalle burrasche sempre più frequenti che arrivano da nord e nord-est”, è infatti solo una parte di un progetto che deve essere completato.
Mancano ancora circa 400 metri di diga, in parte prolungando questo stesso “pennello” di levante, in parte il molo dalla parte opposta, partendo dal vertice settentrionale della darsena. Il progetto prevede di creare uno specchio di mare protetto che porrebbe il porto-canale definitamente al riparo dai fortunali, ma potrebbe anche essere il rifugio temporaneo per le imbarcazioni più grandi, che in quel canale hanno difficoltà ad entrare. Solo che ci vogliono almeno 5 milioni di euro, le competenze passano dalla Regione e siamo solo al progetto preliminare.
Santolini butta lì anche la vecchia idea di rialzare il Ponte della Resistenza, “bastano un paio di metri”, per poter arrivare navigando al porto antico e al ponte di Tiberio, magari con barche-taxi che fanno la spola dalla marina al cuore della città. Gnassi però insiste sull’avamporto e il mercato ittico. E intanto godiamoci il “fischione”.