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Riccione. Morte Vadim Piccione il giudice chiede nuove indagini

Il cadavere di Vadim Piccione era stato recuperato la mattina dell’8 luglio 2012, a circa 24 ore dalla scomparsa, riverso bocconi in mezzo metro d’acqua. Il giovane era arrivato in riviera insieme ad alcuni amici per partecipare alla grande festa della Notte Rosa. Secondo i ragazzi, sentiti poi dagli inquirenti, da una certa ora in poi nessuno l’aveva più incrociato.

Gli amici erano tornati a casa, e ad arrivare in riviera disperato era stato il papà di Vadim che l’aveva cercato febbrilmente un giorno e una notte. Poi il corpo di suo figlio era affiorato dall’acqua del Marano. Sul cadavere non c’erano segni evidenti di violenza, aveva ancora il portafoglio e la catenina, e la rapina era stata esclusa. La Procura della Repubblica di Rimini aveva chiesto l’archiviazione delle indagini. Secondo agli inquirenti si era trattato di una tragica fatalità.

All’ipotesi di chiudere il caso la famiglia di Vadim si è sempre opposta. Tre le direzioni in cui secondo il legale della famiglia  si dovrebbero canalizzare le nuove verifiche: la morte come conseguenza di altro reato (a causa del cattivo stato di conservazione del corpo, non tutte le eventuali lesioni potrebbero essere state identificate); l’abbandono di persone incapaci e l’omissione di soccorso (il giovane era in evidente difficoltà perché in palese stato di ebbrezza).

Il Gip di Rimini ha accolto la richiesta della famiglia ed ha disposto nuove indagini. Ora la Procura ha tre mesi di tempo per svolgere altre indagini ed approfondire alcuni aspetti dell’indagine rimasti ancora poco chiari. In particolare ascoltare ancora i gli amici di quella notte ma anche le eventuale confidenze fatte dai ragazzi ai loro genitori.

A giocare a sfavore dell’accertamento dei fatti hanno contribuito numerosi fattori, innanzitutto il ritardo con cui venne ritrovato il cadavere: all’alba di domenica. Si presume che il giovane sia stato colto da malore e caduto nel canale Marano nella notte tra venerdì e sabato.  Del ragazzo non fu possibile stabilire la causa esatta del decesso in quanto il suo corpo era in condizioni tali che non consentirono accertamenti attraverso l’autopsia. Il disguido fu legato all’errore di un operatore dell’obitorio – che intanto ha pagato con una condanna a sei mesi per omissione di atti d’ufficio – il quale rimandò il corpo al cimitero adducendo problemi di posto. Il risultato fu che il corpo del giovane, chiuso nel sacco e con le elevate temperature estive, accelerò il processo di decomposizione. Il necroforo venne licenziato dall’Asl.

 

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