A Riccione sono stati stanziati 70.000€ per la riqualificazione della piazza di Spontricciolo e il risultato è un disastro edilizio, che rischiava di finire in tragedia.
I fatti. In periodo elettorale, dunque con lo scopo di affilare i pugnali per la competizione politica, l’amministrazione decide che è il momento di ristrutturare la piazza. In vista dello scontro – e avendo pochi argomenti da portare in auge – considera questo un punto fondamentale per vincere in quelli che nei piani amministrativi vengono chiamati “i quartieri”. Serve un’impronta forte, qualcosa di visibile, di riconoscibile: un feticcio. Una tensostruttura che, nei progetti, dovrebbe servire a riparare gli utenti della piazza dal sole estivo o dalle piogge invernali. Il progetto viene avviato e la riqualificazione ha luogo. Nei 70.000 € computati è inserita pure la ripavimentazione e un ornamento in pietra.
Peccato che dal sole non ripari e dalle piogge neppure. Il caldo crea una bolla di umidità sotto la tenda e con la pioggia i cittadini preferiscono non utilizzare la piazza. Quindi rimane l’inutilità dell’opera e il dispendio insensato di soldi pubblici. Per fare 2+2, questi spese sono le stesse spese sconsiderate che impongono l’amministrazione ad alzare progressivamente tassa di soggiorno, passi carrai e tassa sui rifiuti: tutte progressivamente salite negli ultimi anni.
Al di là dell’inutilità e della spesa, sta l’aggravio dell’utilizzabilità. Infatti, da quando è stata montata la struttura, gli afflussi sono calati in piazza per via della scomodità della stessa e dell’impossibilità ad usare la piazza per giochi di bambini e di famiglie. (Con quello che è successo è stata una fortuna).
Inutilità, utilizzabilità e, infine, pericolosità. La terza è la più grave di certo. Dopo una verifica, si scopre che manca – e mancava – l’idoneità sismica, come ricorda il consigliere comunale Imola. A conti fatti, ciò significa che, per arrivare meglio preparati alla campagna elettorale, l’amministrazione non ha preso in considerazione l’ipotesi che elevare una siffatta struttura potesse essere rischiosa e pericolosa per l’incolumità pubblica. Anzi forse lo ha fatto, ma ha scelto l’immagine sopra la sostanza, la cura del proprio interesse sopra quello pubblico, la vittoria sopra la sicurezza.
A ognuno le sue, anche se l’etica vuole che si scommetta con i propri di beni, non quelli degli altri. Ma le cose sono andate così e ne prendiamo atto.
Le cose sono precipitate: il 9 novembre, colpa una raffica di vento, la tensostruttura cede e crolla su sé stessa. (E per fortuna l’idea, neanche passata in esame nel quartiere, era una schifezza, altrimenti lì sotto qualcuno poteva esserci).
Cade, e se non fosse per la pericolosità, saremmo nel campo del ridicolo. I plinti di fondazione dovrebbero essere interrati per garantire sicurezza generale e stabilità dell’opera; la predisposizione dei tiranti poteva essere esterna alla piazza, allargandone la base e dando respiro alla piazza.
Poi ci sarebbero altre domande scomode: cosa c’entri un telone in un anfiteatro? E’ mai stato preso in considerazione il parere dei cittadini? Esistono verbali?
Ne esistono tante, di domande. Ma è inutile porle quando l’interlocutore è sordo. L’unica a cui si chiede di rispondere, per senso di onore e dignità è Cui prodest? A chi giova giocare con l’incolumità pubblica; a chi giova strumentalizzare le passioni delle persone, la politica, per arrivare ad un fine – il potere – se poi è tutto fine a sé stesso.
Ma Seneca, nella sua Medea dava già una risposta puntuale. “Cui prodest scelus, is fecit”.
Jonathan Grassi