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Referendum cannabis, anche Rimini fra i Comuni che rischiano di affossarlo

Ci sono anche sei comuni della provincia di Rimini fra i 1.400 che rischiano di far naufragare il referendum sulla parziale liberalizzazione della cannabis. E in testa c’è proprio il comune capoluogo, Rimini, insieme a Bellaria-Igea Marina, Novafeltria, Maiolo, San Clemente, Mondaino. Sono del resto in illustre compagnia, visto che all’appello mancano anche comuni come quelli di Milano, Bologna, Firenze e Genova, solo per stare far le città più grandi.

Il referendum fino a oggi ha raccolto 580 mila firme on line utilizzando lo Spid, l’identità digitale che lo scorso anno è stata abilitata a svolgere anche questa funzione. Un risultato oltre ogni previsione, considerato che la raccolta è partita l’11 settembre e già una settimana dopo, il 18 settembre, era stata raggiunta la soglia richiesta di 500mila firme. Per firmare c’è ancora tempo fino al 30 settembre, ma tutto potrebbe andare in fumo.

Infatti, perchè le firme digitali siano valide i Comuni dovevano spedire agli organizzatori i certificati elettorali dei firmatari. Un obbligo che però in tanti stanno ignorando, giustificandosi con il sovraccarico di lavoro generato dall’emergenza covid.

Di fronte a questo ostacolo, ieri 25 settembre il Comitato promotore ha diffidato con pec i 1.400 Comuni ritardatari. Ed ha chiesto alla Corte di Cassazione che la raccolta e quindi l’invio delle firme siano prorogati fino al 31 ottobre. Richiesta respinta, mentre sono state accolte quelle analoghe presentate dai promotori dei referendum su eutanasia, caccia e giustizia, che però aveva iniziato la raccolta nel mese di giugno.

A questo punto i promotori del referendum sulla cannabis hanno proclamato uno sciopero della fame e inviato una lettera al presidente dela Repubblica Sergio Mattarella: “Ci rivolgiamo a Lei, garante dei diritti fondamentali della Costituzione, perché sia impedita una violazione della volontà di 600.000 cittadine e cittadini che hanno sottoscritto una richiesta di referendum per cancellare alcune norme della legge antidroga 309/90”, si legge nella lettera consegnata alla segreteria del Quirinale.

“In conseguenza dello stato di emergenza sanitaria – dice ancora l’appello al capo dello Stato – è stato previsto uno slittamento dei termini della procedura al 31 ottobre. Un’interpretazione capziosa ritiene non applicabile questa previsione a chi, come noi, ha depositato la richiesta in Cassazione nel mese di settembre. La nostra colpa consisterebbe nell’adesione massiccia e straordinaria per la legalizzazione del consumo di cannabis e il paradosso inaccettabile si realizzerebbe dando un mese in più a chi ha avuto a disposizione tre mesi per la raccolta e non a chi ha avuto un solo mese”.

E ancora: “La discriminazione è palese e accecante. Il parlamento e il governo si rifiutano di dare un’interpretazione limpida della nuova norma. Avendo raccolto legittimamente il numero sufficiente di adesioni possiamo presentare il quesito nei termini previsti di fine settembre se i comuni rispettassero il dettato imperativo di consegnare la certificazione elettorale entro 48 ore dalla richiesta […] Mancano quattro giorni all’assassinio della democrazia. Ci rivolgiamo a Lei, perché richiami con severità e autorevolezza il Governo a rispettare la legge, senza odiose discriminazioni, e a consentire alle supreme Corti di compiere con serenità gli esami di ammissibilità”.

Dalla mezzanotte di oggi Marco Perduca, Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni, Franco Corleone di Società della Ragione, Riccardo Magi di +Europa, Leonardo Fiorentini di Forum Droghe, Giulia Crivellini di Radicali Italiani, inizieranno uno sciopero della fame. Il Referendum Cannabis è promosso dalle Associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone e dai partiti +Europa, Possibile, Radicali italiani, Potere al Popolo e Rifondazione Comunista.

“Il quesito referendario – spiegano i promotori – riferito al Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, di cui al d.P.R. 309/1990, è stato formulato con il duplice intento di intervenire sia sul piano della rilevanza penale sia su quello delle sanzioni amministrative di una serie di condotte in materia di droghe. In primo luogo si propone di depenalizzare la condotta di coltivazione di qualsiasi sostanza – ma si mantengono le condotte di detenzione, produzione e fabbricazione di tutte le sostanze che possono essere applicate per le condotte diverse dall’uso personale –  intervenendo sulla disposizione di cui all’art. 73, comma 1, e di eliminare la pena detentiva per qualsiasi condotta illecita relativa alla Cannabis, con eccezione della associazione finalizzata al traffico illecito di cui all’art. 74, intervenendo sul 73, comma 4. Sul piano amministrativo, infine, il quesito propone di eliminare la sanzione della sospensione della patente di guida e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori attualmente destinata a tutte le condotte finalizzate all’uso personale di qualsiasi sostanza stupefacente o psicotropa, intervenendo sull’art. 75, comma 1, lettera a)”.

IL QUESITO DEPOSITATO
“Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad oggetto “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza“, limitatamente alle seguenti parti:

  • Articolo 73, comma 1, limitatamente all’inciso “coltiva”;
  • Articolo 73, comma 4, limitatamente alle parole “la reclusione da due a 6 anni e”;
  • Articolo 75, limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;”?”

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