C’è una scritta onnipresente a Dublino. Nei pub, nei locali, sui francobolli: “Poblach na h Eireann”. E’ la dichiarazione con cui, esattamente cento anni fa, un gruppo di patrioti irlandesi proclamava l’indipendenza e nel contempo occupava il Palazzo delle Poste a Dublino, nella rivolta di Pasqua 1916. Verranno tutti giustiziati a maggio. Fu proprio questa reazione durissima da parte del grande impero britannico a far cambiare idea alll’opinione pubblica e a preparare gli anni futuri d’indipendenza.
E’ un Paese europeista, l’Irlanda, che grazie all’Europa ha potuto sedare il terrorismo nel Nord ancora britannico: oggi in pratica il confine è facilmente valicabile, e sia dal punto di vista economico sia turistico Eire e Ulster si muovono insieme. Dopo i morti, le bombe, gli attentati, la guerriglia urbana, la Bloody Sunday, la comune appartenenza europea ha aiutato gli sforzi di pace fino a trovare un punto comune.
Dublino, luglio 2016. Nella piazza moderna, tra palazzi di vetro, una signora anziana dice in polacco al nipote di andare avanti a camminare, di non avere paura. Mi inserisco nella conversazione, e inizio a chiacchierare con la signora. Poco più in là un ragazzo dai capelli rossi chiacchiera con una ragazza dai tratti orientali, avranno vent’anni. Siamo nella zona sud di Dublino.
In Irlanda la popolazione di origine polacca è la prima tra gli immigrati, sono tanti i negozi, le librerie, le famiglie miste.
Mi dice, la signora, che è fortunata: ha seguito sua figlia, che lavora presso Microsoft. Mi parla della vita da immigrata, dell’inglese che fatica ad imparare. Mi ripete che è fortunata ad essere qui e non nel Regno Unito, dove hanno deciso di andarsene e di voltare le spalle ai tanti stranieri che sono lì per lavorare per loro. Mi parla del bambino: le manca la Polonia ma in Irlanda è convinta che potrà crescere bene. E’ un paese accogliente, mi dice.
L’Irlanda deve molto all’Unione Europea: nella tremenda crisi è stata salvata dalle vagonate di Euro prestati dall’Europa. Sono stati anni duri, dal 2007: fallimenti a catena, grandi lavori fermati. Il governo ha operato tagli importanti. Grazie a questi sacrifici e al prestito, hanno risanato il proprio bilancio. Ora l’economia si è ripresa in maniera poderosa, si è ricominciato a costruire palazzi dopo il grande inverno immobiliare, in giro è più facile trovare un lavoro. Arrivano investimenti dall’estero: grandi multinazionali e banche hanno la sede europea qui e cercano personale specializzato da tutt’Europa.
I giornali sono pieni delle notizie dell’attentato di Nizza e del tentato colpo di stato turco: ma accanto ad esse si parla del fulmine che ha colpito due mucche poco fuori Dublino. Ma soprattutto degli effetti a lungo termine della Brexit. Sono molti qui infatti a scommettere che le grandi aziende si sposteranno in Irlanda. Ci sono sia le condizioni fiscali favorevoli – che già hanno portato qui molte banche e grandi aziende come Facebook, Google, Paypal – sia personale specializzato, sia la lingua franca internazionale, l’inglese.
Mi sposto, e passo la giornata a Howth, un villaggio di pescatori a nord di Dublino, che oggi è un’attrazione turistica. Pieno di gente che passa il fine settimana tra fish and chips e mare. Al tavolo dove mi siedo col computer si siede anche un ragazzo. Iniziamo a chiacchierare e mi dice che è croato, ha lavorato a Venezia in hotel, e poi si è spostato qui. Mi dice che si trova bene in Irlanda: all’inizio lavorava come cuoco, poi è stato assunto da un’altra società e ora fa il piastrellista. Lavora molto, buon stipendio. E’ contento di essere qui: dice che c’è un’opportunità per tutti.
Iniziamo a parlare della Brexit. “Gli inglesi hanno fatto una cosa sciocca – prosegue – perché hanno perso l’occasione di stare nel mercato unico. E poi sono gli immigrati sono quelli che ad oggi stanno facendo ricca la Gran Bretagna e la stanno facendo crescere”. Ma non ci andrebbe mai. In Irlanda uno come lui – continua – deve iniziare da zero, ma se ha voglia di lavorare fa presto a far carriera. Gli stipendi sono buoni, il lavoro c’è e la gente è amichevole. E poi, mi dice con aria di complicità, gli irlandesi sono come noi del sud Europa: parlano con tutti, ridono, sono simpatici e accoglienti. Sono i meridionali del Nord Europa.
Aoife è irlandese: capelli rossi, carnagione bianca. E’ molto carina e studia all’università. La incontro nel pub dove fa le serate. Mi serve una Guinness (a proposito: la Guinness qui è proprio diversa da quella che beviamo in Italia. Ha un sapore più fresco e pieno, e la prima cosa che noto è che le bollicine vanno verso il basso nel bicchiere, prima di risalire). Non c’è molta gente nel pub, è ancora presto, e mi fermo a chiacchierare. Secondo lei della Turchia ci si capisce poco, ma l’unica cosa di cui è sicura è che ora Erdogan farà il bello e il cattivo tempo. Le chiedo dell’Italia, e nonostante qualche luogo comune (pizza, pasta, cibo buono, sole, ragazzi) mi dice che vorrebbe andare in vacanza a Rimini, dove andava sua madre da giovane. E mi dice che non ha paura del terrorismo, e spera che l’Europa riesca a superare questo momento. A Nizza un pazzo ha fatto cose terribili – gli occhi verdeazzurri si abbassano un attimo – ma l’Europa è bellissima. E’ bellissimo che si possa viaggiare ovunque, andare in Francia o in Italia a lavorare senza problemi. E’ preoccupata perché ha paura che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea possa far ricominciare gli anni terribili in Nord Irlanda.
“Sai – aggiunge – per noi l’Irlanda è una sola, e grazie all’Europa sembrava lo fosse davvero, senza confini”. Studia economia, ed è convinta che molte banche si sposteranno da Londra a Dublino, dove pensa di cercare lavoro una volta laureata.
Inizia ad arrivare gente, mi saluta e torna dietro al bancone. Ci sono tre musicisti nel pub che iniziano a suonare una musica allegra, tradizionale. La canzone parla di una ragazza di Galway, e di un viaggiatore.
Samuele Zerbini