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Quel ticket che deve pagare anche chi chiede l’elemosina

Vi racconto la mia avventura di stamani.

Esco di casa; vivendo nel centro storico ho conosciuto alcuni dei giovani migranti che lo popolano alternando lavori in agricoltura (a due euro l’ora), con l’elemosina quando il lavoro non c’è.

Sono ragazzi svegli, mediamente acculturati, resi un po’ cinici dalle necessità.

Uno di questi mi ferma e nel suo italiano stentato mi dice che ha avuto bisogno di fare l’analisi del sangue, è andato alla Ausl, ha fatto il prelievo ma al momento del ritiro del referto gli hanno chiesto un ticket di 29 euro, cifra di cui non dispone.

Da “uomo bianco”, per di più cittadino dell’Emilia Romagna, la Regione con il welfare più avanzato, non posso crederci, penso che voglia ingannarmi, che per avere soldi da me ci metta in mezzo la salute.

“Mostrami l’identificativo della richiesta”. Me lo mostra e in alto a destra un solerte impiegato gli ha scritto a matita la sentenza: euro 29. Se vuoi conoscere il tuo stato di salute, se vuoi sapere se hai l’epatite o l’Hiv, o semplicemente il diabete, devi pagare l’equivalente di tre giornate di elemosina o di quindici ore di raccolta frutta in campagna.

Sono sorpreso anche dal fatto che pochi giorni prima avevo fatto le mie analisi del sangue in un laboratorio privato spendendo 35 euro. “Solo sei euro di differenza?”, mi chiedo.

Ingenuamente pensavo che welfare universalistico, quello che come cittadini rivendichiamo, volesse dire “alla portata di tutti”, anche di un immigrato nigeriano dotato di tessera sanitaria. Quel welfare sostenuto dalla fiscalità generale e progressiva di cui parla la Costituzione!

Ricevo conferma della mia ingenuità telefonando al competente ufficio della Ausl.

La cortese impiegata, per motivare quel ticket, mi dice: “Ci sono anche molti italiani poveri che fanno fatica a pagare il ticket”. La risposta mi fa arrabbiare ancora di più e rispondo così: ”Non è questione di bianchi o neri, è questione di diritto alla salute!”  e, poco gentilmente, le sbatto il telefono in faccia.

Poi, riflettendo (non senza malizia) su questa vicenda, arrivo a pensare due cose.

La prima: il ticket è una difesa contro la paranoia diffusa. Se non ci fosse il ticket la domanda di analisi sarebbe insostenibile; si tratta quindi di una difesa contro il malato immaginario, contro il frequentatore seriali di ambulatori e sale d’attesa! Fosse un po’ più basso sarebbe meglio, anche perché fra i tanti, uno che sta davvero male ci può essere.

La seconda: mi colpisce la vicinanza delle due somme (35 euro il lab privato/29 euro il ticket pubblico). Com’è possibile? Non è per caso che quei prezzi, basso per essere privato e alto per essere pubblico, indichino un processo in corso, la scelta di attuare una privatizzazione forzata delle prestazioni “semplici”, con l’obiettivo di produrre risparmi pubblici da indirizzare alle patologie “complesse”? La manovra sarebbe talmente astuta da apparire quasi giustificabile se non andasse a colpire la categoria degli indigenti e la loro possibilità di fare prevenzione.

Naturalmente non so rispondere.

Nel dubbio dico al mio amico nigeriano: ”Non ti resta che ammalarti davvero e farti ricoverare in Ospedale!”.

Giuseppe Chicchi

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