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QUEL “GRANDE E SPAVENTEVOLE” TERREMOTO DI RIMINI

Dapprima qualche leggero scricchiolio dei mobili; poi un grosso scossone. “È il terremoto; è forte!”, dice mia moglie.

Accendo la luce: il lampadario della stanza oscilla vistosamente. Non c’è alcun dubbio. Un tacito interrogativo percorre entrambi: Rimini è ai margini di un terremoto che ha colpito altrove, oppure è nell’epicentro di un terremoto che può manifestarsi fra breve in maniera più pesante?

Ci guardiamo negli occhi e, senza una parola, indossiamo gli abiti in fretta. Scendiamo le scale ed usciamo in strada. Siamo gli unici del caseggiato, forse siamo stati precipitosi; comunque andiamo all’auto nel parcheggio vicino e ci restiamo due ore, per sicurezza. Dopo le sei torniamo a casa e, accendendo la tele, ci rendiamo conto della situazione.

In quelle due ore trascorse in silenzio, non ho fatto che ripensare a Rimini e ai terremoti subiti nel corso della sua storia. Mi è venuto voglia di rispolverare gli appunti contenuti nel mio archivio per costruire una specie di tabella cronologica comprendente tutti i cataclismi che hanno ferito la città nel corso dei secoli.

Lo farò senz’altro, ma nel frattempo torna prepotente alla mia memoria la vicenda del 1308, quando su Rimini si abbatté un terremoto pauroso, che impressionò talmente gli artisti della scuola pittorica molto attiva in città in quegli anni, da indurli a raffigurare negli affreschi della chiesa di S. Agostino la scena con il  “terremoto di Efeso”. Non è l’unica rappresentazione pittorica antica di un evento sismico. Ma è certamente impressionante per la vividezza delle immagini, quasi delle istantanee sulla catastrofe.

Deve essere stata una esperienza tremenda quella vissuta dai pittori, raccolta in una pagina di fra Roberto domenicano, testimone oculare, ripresa e tradotta più tardi dallo storico Cesare Clementini.

“Correndo poi l’anno mille trecento e otto – scrisse Clementini tre secoli dopo – nel tempo di papa Clemente V, di Henrigo imperatore, di Federigo Balacco cittadino e vescovo di Rimino e di Malatestino podestà; nel giorno della Conversione di San Paolo – 25 gennaio –, dopo vespero, fu in questa città un terremoto grande e spaventevole che gettò a terra in molti luoghi pezzi lunghissimi delle muraglie, facendo cadere più torri, dividendone alcune dalla cima ai fondamenti e altre riducendo in minuti pezzi; e benché la città fosse ripiena e adornata d’infinite [torri] una sola non rimase illesa. Furono parimenti danneggiate tutte le case, oltre le ruinate e dimolite, per lo qual accidente restò di maniera spaventato il popolo che con grand’humiltà si diede alla divozione, facendo asprissima penitenza in universale e in particolare, spesso confessandosi e communicandosi. Stava del continovo in orazione e per un mese si disciplinò giorno e notte, visitando le chiese con molta frequenza e chiedendo misericordia a Dio. E l’istesso fu fatto in più luoghi del territorio e diocesi”.

Oreste Delucca

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