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Home > Economia > Quegli Amati che fecero Riccione

Rodolfo Francesconi: “Gli insegnamenti del mare. Ai fratelli Amati per conservarne le vongole, per estrarne l’energia, per riprodurne la musica, e… e…” –  Raffaelli.

Pierluigi Moressa, nella postfazione del volume, scrive: “Un nuovo segmento, dedicato alle storie di famiglia, arricchisce la galleria dei racconti pubblicati da Rodolfo Francesconi. Con una scrittura agile e documentata, capace d’ironia e di continue trasposizioni, l’autore ci fa conoscere alcuni tra i suoi avi” (da parte di madre). “I fratelli Amati (su tutti nel testo spicca Lucio, poi Amato e Giuseppe) si distinguono per l’appartenenza a una genealogia di innovatori dotati di spirito da pionieri, capaci di intraprendere attività antesignane della moderna accoglienza turistica, della proverbiale ristorazione romagnola, della trasformazione energetica”.

I fratelli Amati, figli di Emilio, sono sei: Sebastiano (nato nel 1860), Cristina (1861), Giuseppe Augusto (1865), Maria (1867), Lucio Raimondo Giuseppe (1871), Amato (1874). Al più grande, Sebastiano, Francesconi ha già dedicato un volume con Alberto Spadoni: “SEBASTIANO AMATI. Genealogia di una famiglia e di un città” (Raffaelli, 2016) a cui rinvio per la conoscenza delle sue attività.

Le vicende della famiglia Amati ci riportano ancora una volta agli albori della nascita di una Riccione turistica, dove nel 1883 gli abitanti sono solo 569 distribuiti in 126 famiglie, piccolo borgo contadino e marinaro di Rimini. Ma già due anni dopo gli abitanti raddoppiano e salgono a 1.270, e crescono le attività economiche. Ma la spiaggia a quei tempi era ancora quasi totalmente abbandonata, anche se iniziavano a costruirsi le ville fronte mare: nel 1893 erano già 27.

Ma gli anni di fine Ottocento furono assai duri: “tempo inclemente, raccolti miseri, povertà diffusa”.

Il padre Emilio aveva già costruito nel 1877 l’Ospizio Amati-Martinelli, mentre Sebastiano nel 1901 inaugurò il primo albergo di lusso di Riccione, la Pensione e Ristorante Amati. Lucio e Amato nel 1904 diedero vita ad una azienda per lo inscatolamento di arselle prima, e poi negli anni ’20 e ’30 vongole, acciughe, tonno.

“La famiglia degli Amati in quel periodo aveva il suo bel da fare: doveva gestire l’Ospizio Amati-Martinelli, l’Hotel Amati, il Conservificio e ora anche il Sanatorio Comasco”. Ma i fratelli continuarono sempre ad investire in nuove imprese: le traversine per la ferrovia, impianti per la produzione di energia dal moto ondoso del mare, l’utilizzo per concimi e per materiale inerte stradale dei gusci delle vongole, l’utilizzo industriale degli ossi di seppia.

Nel dopoguerra saranno i figli di Lucio, Emilio e Mario, a gestire e a rilanciare l’azienda. Nel 1972 l’Azienda Amati ottenne il Premio Qualità, ambito riconoscimento nazionale per il settore dei prodotti ittici conservati. Nel nuovo stabilimento di 16.000 mq., sopra la ferrovia fra Riccione e Coriano, lavoravano diverse centinaia di persone, donne soprattutto.

Poi negli anni ’90 la crisi, la riduzione del personale e la chiusura dell’azienda con l’avvio della procedura di fallimento nell’aprile 2001, ma di questa parte della storia Francesconi non ne parla.

Come non accenna alla nuova attività industriale avviata da Mario nel 1960 nella vicina Repubblica di San Marino, guidata oggi dal figlio Emilio (un nome che ricorre continuamente, da una generazione all’altra, nella famiglia Amati): il gruppo Asa di San Marino viaggia oggi oltre i 100 milioni di euro di fatturato, il primo polo italiano indipendente degli imballaggi metallici del segmento General Line, quello specializzato in alimentare e vernici.

Racconta in un’intervista di qualche anno fa Emilio Amati: “Mario ed Emilio Amati, mio padre e mio zio, avevano la Amati Vongole a Riccione. Decisero di mettere acciughe e sardine in lattine. Pensarono quindi di diversificare la produzione e fondarono la ASA San Marino. Che parte con la produzione nel 1960 facendo lattine per sardine per la Amati Vongole”. Ma come dice Francesconi, tutto questo è un’altra storia.

“Sono pagine affettuose quelle che Rodolfo Francesconi ci consegna, – scrive ancora Moressa arricchite dalla sapienza con cui ha saputo rischiarare lo sfondo narrativo, inserendo la vicenda della sua famiglia entro quella più ampia della borgata riccionese, salita al destino di municipio autonomo poi di città”.

Un cammeo invece Francesconi dedica a Giuseppe Amati, grande contrabbassista. Diplomato al Conservatorio di Pesaro, suonò con Toscanini nel 1896 alla Carnegie Hall di New York. Tornò a Riccione nel 1909 e con i soldi ricavati dalla professione acquistò terreni sul Marano e a Miramare. Anche lui, come il padre e i fratelli, costruì una colonia, la Colonia Amati Giuseppe. Morì nel 1941. Il figlio Francesco nel 1927 fu il primo direttore della neonata Azienda di Soggiorno di Riccione.

Infine una postilla: non è importante, come mi ha detto Francesconi: ma per me invece lo è. Emilio Amati all’inizio degli anni duemila, alla chiusura dello stabilimento produttivo, regalò alla Biblioteca di Coriano i suoi libri sul mare. Essi costituiscono uno dei fondi librari della biblioteca che dirigo ormai da quarant’anni più belli e preziosi. E per questo dono sarò sempre grato alla famiglia Amati.

Paolo Zaghini

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