Ci sono anche i fiumi riminesi nel dossier “Pesticidi in Emilia Romagna” presentato da Legambiente. Del resto, «La presenza dei pesticidi nelle acque è ubiquitaria – denuncia l’associazione ambientalista – con mix di decine di sostanze contemporaneamente che permangono molto a lungo nell’ambiente. E’ necessario dunque puntare sempre più su pratiche agricole meno impattanti».
L’indagine dell’associazione ha preso in considerazione i dati ufficiali 2015-2016 sulla qualità delle acque superficiali della Regione e i dati di consumo di pesticidi; il dossier ospita inoltre analisi specifiche, come quella di Conapi sulle morìe delle api o le prime valutazioni dell’Istituto Ramazzini sugli effetti sanitari del glifosato.
Per quanto riguarda l’uso dei pesticidi, l’agricoltura intensiva che caratterizza la Regione difficilmente poteva produrre cifre diverse: «Rispetto alla media nazionale delle vendite per ettaro di Superficie Agricola Utilizzata (SAU) pari a 4,6 kg/ettaro, l’Emilia-Romagna risulta nettamente al di sopra con 7,6 kg/ettaro (dati 2014)».
Anche se la tendenza è positiva: «Dall’indagine si evince comunque un calo dell’utilizzo di fitofarmaci sia a livello nazionale che regionale, dove la sostanza attiva è diminuita di circa il 20% dai primi anni 2000. Le stesse superfici regionali coltivate a bio sono arrivate di recente all’ 11,3 % della superficie agricola totale, con un aumento del 44% tra il 2013 ed il 2017».
Nel frattempo, però, i pesticidi sono ovunque: «Nel 2016 e 2015 sono oltre 60 i diversi principi chimici rilevati nelle analisi; arriva quasi al 90% la percentuale di stazioni monitorate che evidenziano almeno una volta la presenza di pesticidi mentre, nei due anni analizzati, i singoli prelievi in cui si riscontrano sostanze fitosanitarie oscillano tra il 53% ed 56% . Allarmante la conferma della permanenza di queste sostanze nell’ambiente anche molti anni dopo la loro messa al bando. L’analisi sui dati grezzi ha infatti confermato, per il 2016, la presenza rilevabile di alcune sostanze proibite da tempo, tra cui Atrazina e Diuron. Tale dato richiederebbe una forte attenzione rispetto agli effetti che l’uso di queste sostanze possono avere nel lungo termine: segnala che le sostanze in uso oggi potrebbero avere effetti anche a lungo termine sulla salute. Si rilevano inoltre irregolarità e superamenti dei limiti in diverse stazioni, sia per sostanza singola che per la sommatoria delle concentrazioni di tutti i pesticidi rilevati».
Ma in quali luoghi si sono rilevate le situazioni più preoccupanti? «I problemi maggiori nel 2016 – si legge nel dossier – appaiono localizzarsi nella zona di Bologna, Parma, Piacenza, Ravenna e Ferrara». Nel basso ferrarese (nel Po di Primaro, nel Canal Bianco e nel Canale Burana Navigabile) , nei campioni effettuati a maggio si è trovata la « simultanea presenza di oltre 30 pesticidi. Sostanze legate alle pratiche agricole ma purtroppo abusate anche in aree urbane per la manutenzione del verde e la disinfestazione».
Dunque i fiumi della provincia di Rimini non sono fra quelli messi peggio. Però le loro “chiare, fresche dolci acque” sono un ricordo. Per esempio, contando quanti tipi di pesticidi si sono ritrovati dalle nostre parti, sia nell’Uso che nel Rio Melo si è arrivati al numero di 16.
Per quanto riguarda i singoli pesticidi, nel fiume Uso si segnala il Boscalid, utilizzato in orti e frutteti, ben sopra i limiti consigliati : «Relativamente ai limiti imposti – spiega Legambiente – dalla Direttiva 2008/105/CE e dal D.M. 56/2009 sulla concentrazione media annua nelle singole stazioni di singoli pesticidi, si osservano superamenti in diverse stazioni per diverse molecole. Sostanze si ritrovano in concentrazione superiore al limite medio annuo cautelativo di 0,1 µg/l stabilito dal medesimo Decreto Ministeriale per i singoli pesticidi non annoverati nella specifica Tabella».
La normativa di riferimento (il DM 260/2010, che ha sostituito l’allegato 1 alla parte III del D.Lgs 152/06), per il calcolo degli Standard di Qualità Ambientale vengono definiti valori “fuori legge”, solo quelli in cui la media delle sommatorie supera gli 1,5 µg/l. «Infatti – commenta l’associazione – tutti i valori che in modo assoluto superano il limite di 1 µg/l, ma che non superano il valore di 1,5 µg/l, vengono arrotondati per difetto a 1 µg/l senza quindi superare il limite di legge. È chiaro come questo metodo di calcolo, in certi casi, possa sottostimare notevolmente il peso dei fitofarmaci rispetto agli SQA. Infatti, considerando un valore massimo registrato di 2,30 µg/l a “Ponte Gaibanella S. Egidio” a Po di Primario, definire il valore di 1,48 µg/l a “Villanova” al Torrente Arda nella norma, presenta dei forti limiti».
E dunque che il Rio Melo “si fermi” a 1,02 µg/l non è troppo rassicurante, mentre l’Uso nel 2016 va un po’ meglio con 0,76 µg/l, mentre nel 2015 la situazione era più allarmante:
«Numerose altre stazioni poi – rileva Legambiente – anche se non evidenziano un superamento di tale limite, mostrano degli elevati picchi di concentrazioni di più pesticidi in una singola data: anche in questo caso le anomalie si riscontrano prevalentemente nel “Torrente Arda” (PC), “Cavo Sissa Abate” (PR), “Canal Bianco” (FE), “Canale Destra Reno” (RA),” Fiume Lamone” (RA) e “Rio Melo” (RN). Tutti i picchi di concentrazione di pesticidi totali si riscontrano nei mesi di Aprile, Maggio, Giugno, con chiara corrispondenza con i periodi di maggior ricorso all’uso di sostanze fitosanitarie in agricoltura».
Vi sono poi singoli prodotti che sono stati messi al bando a livello europeo, ma solo per un periodo temporaneo e con alcune eccezioni. E’ il caso dell’Imidacloprid, un insetticida che ha importanti ripercussioni sulla fauna acquatica, in quanto concentrazioni al limite della rivelabilità sono in grado di uccidere diverse specie di crostacei e di alghe; inoltre è sospettato di essere fra i responsabili della morìa della api. Ora gli ambientalisti, Greenpeace in testa, ne chiede il divieto totale e definitivo. Ma intanto, e nonostante il bando sia scattato nel 2013, lo si ritrova ancora nei nostri fiumi, compresi il Ventena, l’Ausa e il Marecchia:
Peggio ancora va con il Diuron, vietato del tutto ben dieci anni fa. E invece Legambiente l’ha «rilevato in 159 monitoraggi pari a più del 13% dei campionamenti. Un dato decisamente preoccupante è che osservando l’andamento di questa sostanza nelle singole stazioni analizzate, non si evidenzia una presenza costante in tutte le date, cosa che testimonierebbe un rilascio graduale di principi attivi fuori commercio, ma persistenti nel suolo; al contrario si registrano dei veri e propri cicli con picchi durante l’anno che sembrano corrispondere a periodi di utilizzo delle sostanze in questione, aspetto che lascia pensare anche ad un possibile permanere di utilizzo in campo. Ipotesi alternativa potrebbe essere quella che i picchi possano essere collegati a eventi meteorologici copiosi che, erodendo le particelle del suolo, facilitano l’arrivo della molecola nel corso d’acqua».
E i sospetti che qualcuno continui a usare il prodotto proibito ricadono proprio dalle nostre parti: «Presenza nel ravennate e ripetuta nel riminese»: