Avevo scritto recentemente di un atteggiamento arrogante della scienza nei confronti del piccolo Charlie e dei suoi genitori. Papa Francesco e Donald Trump nei giorni seguenti hanno assunto posizioni che partono da considerazioni molto simili.
Il grande clamore mediatico e l’interesse della pubblica opinione ha fatto il resto. Leggo oggi sulla stampa le dichiarazioni del prof. Della Piccola, genetista, il quale afferma che la terapia sperimentale nucleosidica ha una possibilità di successo quantificabile nel 10% , in quanto la terapia stessa, oltre che avere possibilità di funzionamento positivo, puoò oltrepassare la barriera emato-encefalica (il cervello è protetto da un muro, la barriera emato-encefalica, per evitare che sostanze nocive arrivino a un organo così delicato, uccidendo neuroni).
Sappiamo infatti che la malattia dei mitocondri da cui il piccolo Charlie è affetto, così attestano i medici londinesi, ha sicuramente danneggiato il sistemo nervoso centrale.
Ospedali americani e italiani si sono offerti di ospitare il piccolo paziente, anche gratuitamente.
Il giudizio dei medici inglesi che hanno in cura il piccolo paziente è sempre non favorevole, non hanno cambiato opinione circa la prognosi e la possibilità di cura. Ma hanno di nuovo, dopo il primo diniego, rivolto richiesta alla Corte di Giustizia inglese circa la possibilità di poter effettuare la terapia innovative emerse recentemente per Charlie.
Questa vicenda ci insegna che i giudizi espressi dalla scienza all’inizio della vicenda erano troppo perentori e, sulla base dei dati odierni, nemmeno del tutto corretti. Arroganza, appunto.
Vedremo come proseguirà questa vicenda sanitaria che ha appassionato e commosso tutti.
Ma non possiamo sottrarci a due riflessioni.
Primo, occorre raffinare il percorso giuridico delle cure sperimentali, almeno in Inghilterra. Cosa c’entri una Corte di Giustizia in una vicenda dai risvolti esclusivamente etico-sanitari, dovrebbe essere meglio spiegato. La decisione dovrebbe essere dei medici e dei genitori del piccolo. Al massimo capirei l’intervento di un Comitato etico sanitario, visti i risvolti sperimentali della terapia in oggetto e il fatto che il farmaco stesso non è stato sperimentato ancora in modo significativo nell’uomo e deve essere sottoposto ancora ai test nel ‘modello animale’.
Secondo, mi chiedo poi della sorte dei tanti pazienti che potrebbero essere sottoposti a terapie nuove, con farmaci sperimentali, in varie fasi di sviluppo, ma che non possono usufruirne per le regole rigide delle sperimentazioni.
Queste regole sono sicuramente corrette, ma non permettono deroghe nei casi in cui medici e comitati etici potrebbero sancirne l’eventuale utilità per un paziente. Abbiamo la conferma che solo il clamore mediatico può permettere il superamento di qualsiasi barriera. Non lo trovo corretto, specie oggi in cui le novità della scienza sono innumerevoli: quanto erano ragionevoli, allora, quelle barriere? Solo in virtù del silenzio che le circonda?
Occorrono sicuramente due misure nuove:
- Permettere la stesura di protocolli che offrano la possibilità dell’uso di farmaci sperimentali in casi riconosciuti di possibile efficacia.
- Costringere le aziende farmaceutiche che li sperimentano e li producono, a fornire i prodotti nelle fasi della evidenza di efficacia o gratuitamente o a costi contenuti prima della immissione in commercio.
Un problema così complesso dovrebbe essere affrontato per lo meno a livello europeo.
E’ uno dei tanti temi che l’Europa non si pone e che finisce per risolversi, quando si risolve, a livello individuale e solo per i casi di massima visibilità, o avendo la fortuna di poter entrare in giusti protocolli di sperimentazione con i farmaci ritenuti validi.
Ma la fortuna è di pochi, non di tutti.
Alberto Ravaioli