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Quando i bambini si chiedevano “Sono di pura razza ariana o no?”

Fulvia Alidori, Daniele Susini: “Nonno terremoto. Un bambino nel 1938” – Einaudi ragazzi.

L’articolo 3 della Costituzione Italiana, in vigore dall’1 gennaio 1948, recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Dieci anni prima invece Benito Mussolini e il Re Vittorio Emanuele III a nome dell’Italia fascista avevano varato il 5 settembre 1938 le leggi razziali. L’Italia così si adeguò di fatto alla legislazione antisemita della Germania nazista che fin dal 1933, anno dell’ascesa al potere del Führer, varò una serie di provvedimenti contro gli ebrei, che portarono all’Olocausto, ovvero il genocidio di 6 milioni di persone, compresi donne e bambini.

Nel 1933 si stima che ci fossero 13 milioni di ebrei in Europa, ma solo circa 40.000 in Italia. 

Il 14 luglio 1938 venne redatto il primo il primo documento che parlava ufficialmente di “razza ariana italiana” scritto da 10 docenti universitari.  Dalla definizione di razze alla discriminazione ed espulsione di cittadini (e bambini) ebrei dalla vita sociale e dal mondo lavorativo e scolastico il passo fu breve.

Gli anni di guerra e poi, dopo l’armistizio dell’8 settembre, nel dicembre 1943 iniziò anche per gli ebrei italiani il periodo di deportazione e sterminio nei campi di concentramento in Germania, in Polonia ad opera dei repubblichini di Salò e delle SS che avevano occupato il Paese.

Il bel libro per bambini, per la fascia della scuola dell’obbligo, della fiorentina Fulvia Alidori e del riminese Daniele Susini racconta la storia di “Nonno Terremoto” un bambino ebreo di nove anni che per colpa delle leggi fasciste perse tutto: scuola, giochi, amici.

Nella Postfazione Rav Luciano Meir Caro e Cesare Finzi scrivono: “Troppo spesso l’attenzione delle persone e soprattutto degli studenti è attratta unicamente dalla fase finale del percorso, quella di Auschwitz, dei campi di sterminio e della serializzazione della morte. Noi siamo invece convinti che faro più luminoso, soprattutto per i più piccoli, vada puntato sull’inizio di quel percorso, sulle leggi razziali e sulla discriminazione che gli ebrei italiani subirono per il semplice fatto di essere nati. Sull’indifferenza, sul mare d’opportunismo che ci travolse, sull’immensa ‘zona grigia’ che mai protestò né reagì a ciò che stava accadendo”.

Dice il bambino Luciano, alias Terremoto: “Sono di pura razza italiana o no? La parola ‘razza’ l’ho sentita da mio nonno, che la usava per le mucche. Che c’entro io con una mucca?”. Gli viene detto: “Terremoto, tu sei ebreo, non puoi andare a scuola! Nessun bambino ebreo può andarci!”. Ma il padre: “Luciano ricordatelo sempre, non sentirti mai in colpa di essere nato”. Ma “la tristezza mi prende, non rido più, non sono più come gli altri bambini. Sto a casa, perché al parco gli amici non mi salutano più. Non ho nessuno con cui giocare ma non sono il solo, in Italia siamo cinquemila ebrei studenti e studentesse e con noi maestri e professori”.

In un commento al racconto del libro Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, scrive a proposito della espulsione degli studenti ebrei dalle scuole italiane: “le singole comunità si organizzarono rapidamente e in poche settimane misero insieme un sistema di istruzione efficiente e funzionale, priorità assoluta per assicurare ai singoli e al gruppo una qualsiasi forma immaginabile di futuro”. “Questo era concepito come ‘provvisorio’, realizzato nell’ottica di una necessaria parentesi a una realtà apparentemente impazzita e difficile da comprendere. I fatti si incaricarono di smentire questa troppo benevola prospettiva: all’esclusione degli ebrei dalle scuole seguì rapidamente la loro persecuzione in ogni ambito della vita sociale”.

“Fuori tutti, adulti e bambini. Niente scuola per i bambini ebrei né lavoro per i loro babbi e le loro mamme. Tutto per la parola ‘razziali’!. Per me più che razziali sono ‘razziste’”.

A pochi giorni dal “Giorno della Memoria” il prossimo 27 gennaio, voglio riprendere le parole che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella disse l’anno passato in questa ricorrenza a proposito del ritorno dei rigurgiti antiebraici:

“Perché Auschwitz non è soltanto lo sbocco inesorabile di un’ideologia folle e criminale e di un sistema di governo a essa ispirato. Auschwitz, evento drammaticamente reale, rimane, oltre la storia e il suo tempo, simbolo del male assoluto.

Quel male che alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, appena se ne ripresentino le condizioni. Una società senza diversi: ecco, in sintesi estrema, il mito fondante e l’obiettivo perseguito dai nazisti. Diversi, innanzitutto, gli ebrei. Colpevoli e condannati come popolo, come gruppo, come “razza” a parte. Gli ebrei. Portatori di una cultura antichissima, base della civiltà europea, vittime da sempre di pregiudizi e di discriminazioni, agli occhi dei nazisti diventano il problema, il nemico numero uno, l’ostacolo principale da rimuovere, con la violenza, per realizzare una società perfetta, a misura della loro farneticazione. Ma quando il benessere dei popoli o gli interessi delle maggioranze, si fanno coincidere con la negazione del diverso – dimenticando che ciascuna persona è diversa da ogni altra – la storia spalanca le porte alle più immani tragedie. Gli ebrei erano bollati con il marchio, infamante, della diversità razziale. Dipinti con tratti grotteschi, con una tale distorsione della realtà da sfociare nel ridicolo, se non si fosse tradotta in tragedia (…).

In Italia e nel mondo sono in aumento gli atti di antisemitismo e di razzismo, ispirati a vecchie dottrine e a nuove e perverse ideologie. Si tratta, è vero, di minoranze. Ma sono minoranze sempre più allo scoperto, che sfruttano con astuzia i moderni mezzi di comunicazione, che si insinuano velenosamente negli stadi, nelle scuole, nelle situazioni di disagio. Noi Italiani, che abbiamo vissuto l’onta incancellabile delle leggi razziali fasciste e della conseguente persecuzione degli ebrei, abbiamo un dovere morale. Verso la storia e verso l’umanità intera. Il dovere di ricordare, innanzitutto. Ma, soprattutto, di combattere, senza remore e senza opportunismi, ogni focolaio di odio, di antisemitismo, di razzismo, di negazionismo, ovunque esso si annidi. E di rifiutare, come ammonisce spesso la senatrice Liliana Segre, l’indifferenza: un male tra i peggiori.”.

Quella che gli Autori hanno scritto è un libro per ragazzi che deve aiutare a crescere: una storia per ricordare che non esiste colpa per essere nati, comunque noi siamo, come recita l’art. 3 della nostra Costituzione.

Il libro sarà presentato martedì 28 gennaio, alle ore 17.00, presso la Cineteca Comunale in Via Gambalunga, alla presenza degli Autori e di Rav Luciano Caro e di Cesare Finzi. Coordinerà l’incontro Laura Fontana, responsabile Attività Educazione alla Memoria del Comune di Rimini.

Paolo Zaghini

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