Alcuni giorni fa, presso la biblioteca di Santarcangelo di R. è stato presentato un libro dal titolo: “L’ultimo rigore di Farouk” di Gigi Riva. Lo stesso Riva sarà domenica prossima a Verucchio durante la due giorni di incontri “I Balcani, mosaico di patrie e di lingue tra oriente ed occidente”.
Perso il primo evento e mancando ancora un po’ al secondo, quel titolo continuava a rimanermi in testa e non mi ha dato pace fin che non l’ho comperato.
Forse è stato per il nome dell’autore che inevitabilmente mi riporta con la mente al mitico “Rombo di Tuono”. Invece è lo stimatissimo caporedattore dell’Espresso, che vive ormai da anni a Santarcangelo.
O forse perché sapevo qualcosina della storia.
Fatto sta che l’ho letto, questo librino.
E me ne sono innamorato.
Svelo subito la trama: la vicenda riguarda l’epopea della squadra di calcio nazionale iugoslava del ’90, che va di pari passo con il crescere e il deflagrare del conflitto serbo/croato/bosniaco.
Quello che mi ha colpito però è la maestria con cui Gigi Riva (ogni volta che scrivo questo nome rivedo il gol di testa in tuffo alla Germania Est del ’69, scusate la divagazione), organizza la narrazione.
Il libro descrive un turbine. Il turbine della guerra che si erge impetuoso e sradica ogni cosa nel suo pazzo e distruttivo incedere.
Anche i giocatori, forse i migliori calciatori balcanici mai apparsi sulla scena mondiale, vengono coinvolti in questo vortice.
Dal vortice, Gigi Riva ti fa vedere una vita, un pensiero, un rottame che gira senza alcun controllo.
Sono mille gli episodi che Gigi Riva ti fa intuire nel bailamme del conflitto che urla dentro le pagine.
Sono quasi tutti episodi legati a personaggi che conosciamo, che abbiamo visto giocare nel nostro campionato, gioendo per le loro invenzioni o rammaricandoci per lo loro (nostre) sconfitte.
C’è addirittura un momento in cui la tempesta di sangue sembra fermarsi, una sorta di “occhio del ciclone”, dove il rigore concesso alla Iugoslavia contro l’Argentina nei campionati del Mondo di Italia ’90, pare possa ricomporre come per magia un puzzle etnico ormai in guerra fratricida.
Se Faruk Hadžibegić, il capitano, segna il rigore e la Iugoslavia va in semifinale forse… forse…
Forse tutto tornerà come prima, forse non conteranno più origini, razze, rancori.
Forse si tornerà a ballare la sgangherata musica balcanica e a fare l’amore.
Forse.
Fino a che il ciclone riprende la sua corsa di morte spazzando via il mondo.
Non so bene cosa ho letto.
Un libro sul calcio? Un libro sulla guerra? Un libro sulla vita?
Mi arrendo, non so definire questo libro.
Mi unisco solo alla frase di controcopertina, di Diego Armando Maradona.
“… Occupati di politica internazionale, il calcio è una cosa troppo seria”
Stefano Pellizzola