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Pino Amati e Naci Zavatta, i re del boom di Rimini – 1

C’era una volta, quarant’anni fa circa… La curiosità è un grande stimolo a cercare di conoscere meglio fatti che ti capita di leggere, e che ti stuzzicano la voglia di approfondire. E’ quello che mi è successo quando, sfogliando l’infinito archivio cartaceo lasciato da Vincenzo Santolini (1941-2020), amministratore pubblico corianese per alcuni decenni, ma di mestiere dipendente comunale di Rimini dal 1970 al 1993, sempre nel settore tributi, e per molti anni segretario della Commissione Comunale del settore, ho ritrovato fra le sue carte una cartellina intestata a Giuseppe e Piero Amati e a Giovanni Zavatta, nel cui interno erano conservati tanti ritagli di giornale sulle vicende dei due imprenditori riminesi, nonché una serie di accertamenti effettuati dagli uffici comunali sulle proprietà degli Amati.

Giuseppe (Pino) Amati (da “Il Corriere di Romagna” del 13 marzo 1982)

Per alcuni mesi questa cartellina è rimasta sul mio tavolo, sino a quando non mi sono deciso di andare a curiosare fra le pagine delle annate dei giornali locali alla Biblioteca Gambalunga per completare le storie che le carte raccolte da Santolini raccontavano solo in parte. Questi miei articoli nascono dunque dalla lettura delle annate de “Il Resto del Carlino”, di quelle de “Il Corriere di Romagna” diretto da Michele Bovi, di quelle de “Il Quindicinale” diretto, nel 1982 e 1983, da Lanfranco De Camillis e Onide Donati.

Gli anni fra il 1980 e il 1983 sono quelli in cui le vicende delle due famiglie le portano ad essere sulle pagine dei giornali nazionali e locali, oltre che sui banchi dei tribunali, sotto inchiesta da parte della Guardia di Finanza, sottoposte a numerosi accertamenti tributari da parte del Comune di Rimini. Non ho nulla di nuovo da rivelare, ma ho solo messo in fila tanti avvenimenti raccontati un po’ qui e un po’ là. Avvenimenti che comunque fanno parte della storia economica, sociale e rosa della nostra Città e che oggi sicuramente in pochi ricordano.

10 settembre 1961. Rimini, Hotel Ambasciatori. Giuseppe (Pino) Amati (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga, fondo Davide Minghini)

A conclusione di questa breve premessa vorrei solo dire che “Il Resto del Carlino” trattò le vicende delle due famiglie con molto “tatto”, cercando spesso di minimizzare, sottacere, non raccontando mai troppo (Bovi scrisse in “Il Corriere di Romagna” n. 2/1982: “Giuseppe Amati e Attilio Monti, il petroliere tra l’altro proprietario de ‘Il Resto del Carlino’ sono cari amici da lunghi anni. Ciò può dare una risposta a tutti coloro che non si spiegano perché, a differenza de ‘L’Unità’, di tutta la stampa locale e perfino di giornali ‘fuori piazza’ quali ‘Il Giorno” e ‘Il Messaggero’ che continuano a dedicare ampio spazio all’argomento, il quotidiano bolognese abbia steso una coltre di sorprendente silenzio su il ‘caso Amati’, ossia la vicenda di cui a Rimini più si parla”).

“Il Corriere di Romagna” diretto da Michele Bovi fu un settimanale che uscì fra il 1979 e il 1984, di gossip politico, sociale e sportivo romagnolo. Grossi titoli “sparati” in prima pagina, ma spesso assai poveri di contenuto. A volte di dubbia verità. Va però detto che Bovi fu il primo a parlare del divorzio di Piero Amati e Paola Magnani, sul n. 24 del 20 giugno 1981, che aprì a cascata tutte le altre notizie sulla famiglia Amati, e di “attentato” a proposito dell’incidente dell’elicottero dove morirono Gianfranco Zavatta e Giuseppe Pesaresi (sul n. 32 del 12 settembre 1981), in maniera avventata e senza prova alcuna (un frate veggente lo aveva sognato).

29 agosto 1965. Rimini, Hotel Ambasciatori. Liliana Pagliarani, Giuseppe (Pino) Amati) (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga, fondo Davide Minghini)

Luciano Nigro su “Il Quindicinale”, periodico della Federazione Comunista Riminese” invece, tra febbraio e maggio 1981, con cinque lunghi articoli dedicati alla famiglia Amati e al suo impero economico provò a ricostruire, anche grazie al “Libro Nero” di Paola Magnani, l’ex moglie di Piero Amati, redatto per la causa di divorzio, di cui era venuto in possesso, i confini di questo potentato economico, i suoi soci e prestanomi, il reticolo societario, le inchieste che erano in corso, i magistrati coinvolti. Non risparmiando battute sull’atteggiamento dei giornalisti del Carlino nel raccontare le vicende della famiglia Amati.

La replica (indiretta) fu immediata. L’inviato Florido Borzicchi su “Il Resto del Carlino” del 2 marzo 1982, sulle pagine nazionali, non risparmiò, come del resto altri prima e dopo, una stoccata “politica” ai due patriarchi e al Partito Comunista Riminese: Pino e Naci sapevano “sempre prima dove Rimini si sarebbe espansa. Sono andati sempre d’accordo con i comunisti. Amati e Ceccaroni, sindaco di Rimini per 25 anni, avevano legami stretti; il sindaco comunista di Coriano, Renato Muccioli, era uno degli uomini di fiducia di Amati”. Naci aveva ottimi rapporti con Francesco Alici. Ma Ceccaroni nel libro-intervista fattogli da Riccardo Fabbri nel 1982 definì i suoi rapporti con Amati “conflittuali”.

31 dicembre 1967: Capodanno Rai dall’Altro Mondo (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga, fondo Davide Minghini)

Questo per darvi una piccola idea della complessità delle vicende che coinvolsero le due famiglie in quegli anni e di come i diversi giornali trattarono le notizie.

La Rimini del dopoguerra vide l’affermarsi a livello economico dei due imprenditori “rampanti” che seppero sfruttare il boom edilizio della Città avvenuto negli anni ’50, ’60, ’70. Rimini passò in quei decenni dai 70.000 abitanti del 1951 ai 130.000 del 1981, con una espansione dell’edilizia abitativa enorme. A cui si accompagnò il moltiplicarsi delle strutture alberghiere, da Miramare a Torre Pedrera. E Giuseppe Amati (per tutti Pino) e Giovanni Zavatta (per tutti Naci) furono gli immobiliaristi che più costruirono, che più vendettero, che più accumularono ricchezza dall’espandersi della Città. Rappresentanti maggiori di quella razza padrona che fecero il boom riminese. Pino Amati costruì il suo impero sino a diventare il leader indiscusso della finanza riminese.

Nel raccontare alcune delle storie di queste famiglie, che spesso si intrecciarono, registriamo grandi successi economici, ma anche gravi disgrazie familiari. Oltre che ad una love story che occupò per anni le pagine rosa dei rotocalchi settimanali italiani.

31 dicembre 1968. Rimini, Altro Mondo. Festa dell’ultimo dell’anno. Da sinistra, Giuseppe (Pino) Amati, Gilberto Amati (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga, fondo Davide Minghini)

Pino Amati, era nato a Rimini il 3 settembre 1914 e morì il 7 aprile 2003; dal 1969 al 1974 residente nel Comune di Montescudo (dichiarò pubblicamente di non voler più sottostare alle vessazioni degli amministratori comunisti riminesi con le loro tasse troppo alte); dal 1974 rientrò a Rimini nella grande Villa Lavinia, in Viale Principe Amedeo al n. 59. Coniugato con Liliana Pagliarani. Genitori di Gilberto, Luciana, Maddalena e Pier Paolo (per tutti Piero). Luciana sposò Paolo Spinalbelli il 28 aprile 1973. Maddalena sposò Marcello Pagliacci. Piero sposò a Roma il 16 febbraio 1963 la romana Paola Magnani. Dalla loro unione nacquero due figli (Giuseppe e Francesca). Si separarono il 23 settembre 1971, con la richiesta di divorzio da parte Piero nel 1981 e il suo ottenimento ad inizio 1983.

Agosto 1967: giovani in sosta all’Altro Mondo (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga, fondo Davide Minghini)

Pino venne così raccontato, tra il serio e il faceto, da “Il Quindicinale” dell’11 febbraio 1982: “Pino Amati incarna il mito squisitamente americano, e quindi riminese, del self-made man, dell’uomo che si è fatto da sé. Si aggiunga che la sua parabola personale è perfettamente parallela a quella della società e dell’economia riminese: dall’arte di arrangiarsi dell’immediato dopoguerra alla febbre del cemento del periodo della ricostruzione, all’accumulazione forzata degli anni del ‘boom’, alla speculazione su larga scala e a largo spettro dei tempi di crisi. Amati è Rimini. Non tutta Rimini, beninteso: Rimini l’intraprendente, Rimini la spregiudicata, Rimini la ricca. Per questo Amati è incomparabilmente più popolare di qualsiasi altro miliardario locale. Egli rappresenta ciò che ogni riminese, se altrettanto abile e tempista, avrebbe potuto diventare (…). Prima della guerra Amati non esisteva. Esplode d’improvviso a trent’anni suonati. Siamo nel ’44. Rimini è un solo, enorme cumulo di macerie. La geniale intuizione di Amati è di impiantare un business sulla sola cosa di cui la città abbonda: le macerie, appunto. Col ferrovecchio mette insieme le prime am-lire, che gli consentono di passare agli alimentari”.

31 ottobre 1969. Rimini, Aeroporto. Al centro Giuseppe (Pino) Amati. Alla sua sinistra, Renato Muccioli (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga, fondo Davide Minghini)

Poi Amati inizia a comprare terreni. “Ci vuole una bella fantasia ad immaginare che, un giorno, sulle dune desolate ed acquitrinose della costa sorgeranno alberghi colossali, condomini in aperta campagna. Poi, su questi terreni, comincia lottizzare e a costruire. Amati è ormai Amati. Le banche non gli lesinano qualche incoraggiamento. All’Ufficio Tecnico è di casa. Coi partiti i rapporti sono generalmente buoni, e c’è comunque modo di migliorarli. Fra acquisti, vendite, baratti, transizioni, parenti, soci, prestanome, cambi di residenza, ecc. ecc. si comincia a perdere il filo e il conto. Si discute, in città, sulla consistenza del patrimonio di Amati: milioni, miliardi, decine di miliardi, centinaia di miliardi, un fantastiliardo. Per il fisco e il catasto resta invece un modesto benestante”.
Pino costruì alcuni degli alberghi più prestigiosi della Riviera: l’Ambasciatori, il Bellevue, il Kursaal, l’Astra.

18 agosto 1969: MIna all’Altro Momdo (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga, fondo Davide Minghini)

Pino negli anni ’60 e ‘70 fu più volte chiamato in causa, anche con denunce e processi, per vari episodi. Ad esempio nel marzo ’62 scoppiò il “caso Muratori”, assessore comunista ai lavori pubblici dimessosi il 7 settembre di quell’anno in seguito alla scoperta di un atto di compravendita di un terreno a Rivabella dall’imprenditore Pino Amati, avvenuto il 12 aprile 1960. Quel terreno avrebbe dovuto essere utilizzato per costruirvi una abitazione non di lusso, ma poco dopo la moglie di Muratori presentò un progetto per la costruzione di un albergo a sette piani.

A Riccardo Fabbri nell’”Intervista a Ceccaroni” (Chiamami Città-Guaraldi-La Stamperia, 1992) il Sindaco rispose: “E’ un episodio che non ha niente a che fare con le licenze edilizie date illegalmente (…). Non so dire, in coscienza, se le dimissioni di Muratori e il suo ritiro dall’attività politica siano meccanicamente collegabili a questo fatto (…). La pregherei di distinguere i fatti comprovati di malcostume amministrativo da una certa ‘aria’, da una certa ‘chiacchiera’, che è stata pur presente in Città sul presunto ruolo avuto in quegli anni, dal punto di vista urbanistico, dal commendator Amati”.

O ancora nel 1976: alla vigilia delle elezioni del 1976 il Sindaco Nicola Pagliarani e l’Assessore ai Tributi Giovanni Baldinini vennero accusati dalla Pretura di “aver omesso, o comunque ritardato indebitamente di procedere al recupero dell’imposta di consumo (per un ammontare di circa 200 milioni) relativa alle evasioni fiscali a a carico della S.n.c. Salumificio Riminese” di proprietà della famiglia Amati. Una storia, iniziatasi nel 1971, intricata di responsabilità e ritardi fra Guardia di Finanza, uffici comunali, magistratura. La Pretura arrivò ad autorizzare contro i due amministratori comunisti un procedimento di ipoteca legale sulle loro case di abitazione. Per meglio tutelare la propria innocenza i due amministratori rinunciarono agli incarichi ricoperti, in attesa della sentenza della magistratura. In questa situazione la DC e “Il Resto del Carlino” scatenarono una vera e propria campagna di diffamazione verso i due amministratori. Fu solamente con sentenza della Pretura di Rimini del 25 marzo 1977 che Pagliarani e Baldinini vennero assolti con formula piena “perché il fatto non sussiste”. Ma l’Avvocatura di Stato fece ricorso contro la sentenza assolutoria. Scrisse “Il Quindicinale” del 15 marzo 1979: “Ora giunge la sentenza della Corte di Cassazione che è stata emessa nei giorni scorsi dall’organo posto al vertice della magistratura. Essa rende piena giustizia agli amministratori comunisti, riconoscendo loro la piena estraneità ai fatti e confermando con la più ampia forma di assoluzione (il fatto non sussiste) il carattere artificioso e di pura invenzione dell’accusa creata nei loro confronti”. Alla fine di marzo del 1977 comunque Pagliarani e Baldinini erano tornati ad occupare i loro incarichi di pubblici amministratori.

20 gennaio 1972: la BMW di Gilberto Amati dopo l’incidente (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga, fondo Davide Minghini)

Nel 1972 Pino Amati perse il figlio prediletto, Gilberto, 27 anni, che aveva costruito e gestiva il club “L’Altro Mondo”, la prima grande discoteca della Riviera. Mentre tornava a casa dal locale, la notte fra io 19 e 20 gennaio 1972, a uno stop sulla statale vicino alla sua residenza, venne tamponato e poi la sua auto fu travolta da un autotreno; dalla BMW in fiamme ne uscì gravemente ferito, trasportato a Bologna, sarebbe morto tredici giorni dopo il 2 febbraio 1972. Gilberto non seguiva negli affari le orme paterne; amava la musica e l’organizzazione di eventi. Da quel giorno il padre Pino cominciò a ritirarsi, ed iniziò a subentrargli l’altro figlio, Piero.

20 gennaio 1972. Rimini, sulla Statale poco prima de “L’Altro Mondo”. L’auto di Gilberto Amati dopo il tamponamento e lo scontro con l’autoarticolato (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga, fondo Davide Minghini)

Dichiarò alla stampa, in occasione della morte di Pino nel 2003, l’ex-Sindaco Nicola Pagliarani: “Ha contribuito alla ricostruzione di Rimini. Nella sua attività cercava il maggior profitto. Era nostro compito quando bussava in comune per un progetto dire di no quando si doveva dire di no. Ogni giudizio va dato rispetto al contesto storico in cui le scelte sono state fatte. E, per Rimini, quello era il tempo della ricostruzione con una povertà diffusa (…) Posso affermare che Amati, con la sua politica abitativa ed il suo favorire attività commerciali ha fatto, avendo presente i suoi interessi, molto per Rimini” (Il Corriere di Rimini dell’8 aprile 2003).

Piero allargò l’impero immobiliare e turistico del padre, espandendosi in molte altre città italiane, con operazioni immobiliari a Roma e a Milano che finirono spesso sulle pagine dei giornali (su “Il Resto del Carlino” del 17 marzo 1981 “Sbarca a Milano il riminese Amati”, a proposito dell’acquisto di un enorme stabile in Piazza degli Affari, di fronte alla Borsa, dal valore di molti miliardi). I giornali parlarono di oltre 200 società di cui gli Amati erano titolari o comunque soci, soltanto in Italia. Fra i soci di queste società i giornali elencarono Naci e Gianfranco Zavatta, Luigi Valentini, Stefano Patacconi, Gianfranco Fabbri, Giuseppe Pesaresi, Giorgio Sciaccaluga e Alessandro Pittaluga (ricchi e potenti immobiliaristi genovesi), Attilio Castiglioni (originario di Rimini, ma cittadino portoricano, con cui comprò Villa des Verges). Fra i soci, in alcune società milanesi, compare anche Silvio Berlusconi, allora solo rampante costruttore di Milano 2 e Milano 3. Piero era anche l’Amministratore unico della “Amati s.p.a.” con sede in Roma, una faraonica immobiliare, un po’ la cassaforte di famiglia, con un capitale sociale di 850 milioni (20% del padre, 40% della madre, 40% di Piero) e un giro di affari nel 1980 di oltre due miliardi.

Giuseppe (Pino) Amati (da Il Resto del Carlino dell’8 aprile 2003)

(1. continua)

Paolo Zaghini

(Nell’immagine in apertura: 30 luglio 1970, pranzo in spiaggia dell’hotel Bellevue – Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga, fondo Davide Minghini)

 

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