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Pietro Rossi da San Marino, contadino e poeta di un mondo che credeva immutabile

Grazia Bravetti Magnoni: “Pietro Rossi. Contadino e poeta” – AIEP.

Se ne è andata il 24 settembre 2021, oltre un anno e mezzo fa, Grazia Bravetti Magnoni. Insegnante di lettere, collaboratrice storica del settimanale cattolico riminese “Il Ponte” ed autrice (e curatrice) di una ventina di volumi. Dalla fine degli anni ’70 rivolse il suo interesse per la letteratura minore del mondo contadino e popolare, le cui memorie avrebbero potuto disperdersi per sempre: così ha scritto della vita di campagna, dei mangiari, dei giochi dei bambini, delle tradizioni legate alle feste religiose e non.

Persona schiva, quasi timida, ma con una grande cultura. L’ho conosciuta, in una fredda serata invernale con un grande nebbione (come oggi raramente capita), alla Sala polivalente di Sant’Andrea in Casale nel Comune di San Clemente (non ancora, come oggi, “Teatro Giustiniano Villa”) alla fine del 1979 in occasione della presentazione del suo libro “Giustiniano Villa : Zirudeli. Poesie in dialetto romagnolo” (Edizioni del Girasole, 1979), scritto con il suo maestro Antonio Piromalli (1920-2003), critico letterario e poeta. Per quarant’anni ci siamo incontrati in occasione di vari eventi culturali e poi nel 2016, nel ricordo di un comune amico, il riccionese Orio Rossetti (1945-2014) accettò di raccontarlo nel volume miscellaneo che io e Rocco D’Innocenzio, assieme ad un gruppo di amici, decidemmo di dedicargli (“Orio Rossetti. Intellettuale e operatore culturale in Riccione” edito da Il Ponte Vecchio nel 2016): “A casa di Orio”. Qui raccontò della esperienza vissuta con lui nel concorso riccionese “Scrittura al femminile” fra il 1989 e il 1994.

Da tantissimi anni viveva a Rimini, ma nel 1998 era stata nominata anche Cittadina onoraria di San Clemente per il contributo dato alla conoscenza del loro poeta dialettale Giustiniano Villa. E qui ha voluto essere sepolta, assieme al marito Franco.

A pochi mesi dalla morte, a luglio 2022, i figli Francesca e Filippo, assieme all’editore sammarinese Giuseppe Maria Morganti di AIEP, hanno presentato il suo ultimo lavoro, uscito postumo, dedicato al poeta dialettale sammarinese Pietro Rossi (1804-1879). Poeta sì, ma anche contadino come ci tenne per tutta la vita a precisare.

Grazia nel volume ripercorre la storia delle sei piccole pubblicazioni del Rossi, uscite fra il 1845 (“I dialoghetti”) e il 1876 (“Il secondo Ceccone, ovvero, il vero agricoltore”). Le date del periodo in cui scrisse sono importanti, perché rimandano al lungo e difficile percorso dell’unificazione italiana. Nelle zirudele di Giustiniano Villa (1842-1919), cinquant’anni dopo, “il contadino appare rivoluzionario, anarchico, socialista, mentre quello del Rossi è accondiscendente alle antiche regole, rispettoso al volere del padrone cui ubbidisce credendo sempre a quel che dice”.

Il contadino del Rossi, Ceccone, è sempre presente nei suoi vari “Dialoghi” e usa con scioltezza il suo dialetto pieno di arguzia popolare, di facezie, di satira. “I libretti ove è protagonista Ceccone sono i più innovativi e singolari in ambito storico, letterario, linguistico. ‘Ceccone’ è il soprannome di un contadino mezzadro della campagna sammarinese che ha per padrone un innominato Conte, anch’egli sammarinese”. Il personaggio mira “alle difese delle vecchie istituzioni politiche, religiose e familiari, contro ogni sovvertimento voluto invece dai rivoluzionari liberali e repubblicani”.

Rossi è un abile venditore di se stesso: “L’abilità e la modernità di Pietro Rossi, in riferimento a chi sa quanti altri, chiamiamoli, Cantastorie, foss’anche più bravi e capaci di lui, deriva dal fatto che lui ha fatto stampare quel che voleva nei suoi libretti, e non ha lasciato tutto quello che raccontava o recitando a voce o nei ‘Fogli volanti’ troppo facili a perdersi. Infatti dei famosi fogli di Rossi ne sono stati recuperati parecchi, ma non sarà mai possibile sapere quanti altri ne sono andati perduti”.

E la Bravetti aggiunge: “Per i favolisti che recitavano nei mercati, nelle fiere, nelle piazze, come nelle veglie, la commozione, l’angoscia, la miseria, il pianto eran tutti, se ben condotti, utilissimi a far cassetta, e questo Rossi ben lo sapeva, dimostrando di essere abilissimo a servirsene, che poi se oltre l’italiano avesse imparato anche il latino, avrebbe, come Plinio il Giovane, iniziato le sue Canzoni col grido ‘Per sol una moneta di rame, voi ascolterete una storia d’oro”.

I soldi erano un problema continuo per Rossi, anche perché era un pessimo agricoltore, oltre ad esser perseguitato dalla sfortuna (il furto dei suoi animali dalla stalla, affari sbagliati). Ed era dunque in perenne litigio con gli stampatori dei suoi libretti e dei suoi foglietti volanti: “Orsù si può stampar sio Stampatore? / ‘Se tu hai i quattrini.’ Ma non fa a credenza? / ‘A credenza! Via via fammi il favore / non t’ascolto nemmen abbi pazienza. ‘Senza danar quest’an non stamperai”.

Tra i ‘maestri’ del Rossi l’abate corianese Giovanni Antonio Battarra (1714-1789). Anche Rossi, come lui, inserirà tra gli specifici argomenti inerenti l’agricoltura, “preziose notizie sulle fino ad allora sconosciute costumanze e superstizioni dei contadini romagnoli, il che avrà ancor più importanza in pieno Ottocento con l’esigenza e la diffusione degli studi sul folclore”.

I personaggi di Rossi divulgano, esaltandola, l’ideologia padronale in un territorio ove poteva dominare ancora la memoria sanfedista ed il rimpianto papalino, anche se la Repubblica sammarinese era del tutto autonoma ed indipendente. Ceccone, giovane e rozzo contadino sammarinese, “è stato scritto per esaltare una società ancora di vecchio stampo, legata ad un passato che si pretenderebbe inamovibile, contrario ai cambiamenti, come l’istruzione e l’educazione delle classi povere, le lotte sociali”.

I figli Francesca e Filippo hanno scritto nella Presentazione: “Ecco per te il fascino di questi racconti, perché Rossi come Villa furono testimoni parlanti della loro epoca, degli avvenimenti del loro tempo, che la gente delle campagne faceva fatica a captare e recepire”.

Paolo Zaghini

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