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Il piccolo Charlie, vittima dell’arroganza della scienza

Sta appassionando la opinione pubblica in questi giorni la vicenda del piccolo Charlie Gard, bimbo inglese di 10 mesi.

La vicenda è ben nota.
Il piccolo si trova ricoverato in un reparto di terapie intensive a Londra e la sua vita dipende esclusivamente dalle apparecchiature terapeutiche, altrimenti interverrebbe la morte.
Il piccolo è affetto da una rara malattia genetica, trasmessa in modo ereditario, che interessa i mitocondri.
I mitocondri sono degli organelli cellulari che trasformano il glucosio in energia cellulare (semplificando, come la benzina per il motore di una macchina); energia senza di cui l’organismo va in stop metabolico e piano piano degrada.

Una condizione incompatibile con la vita e solo le macchine, che dànno quell’energia al corpicino, ancora la permettono.

Mi sono andato brevemente a riguardare le malattie mitocondriali: sono un numero rilevante, diverse fra di loro, e quella del piccolo Charlie interessa circa 20 pazienti al mondo.
Troppo pochi per permettere una ricerca rapida e profittevole per le aziende farmaceutiche.

Ebbene, i medici inglesi vorrebbero sospendere il funzionamento dei macchinari, con le conseguenze che abbiamo detto, e i genitori si oppongono.
Addirittura sono ricorsi per questo ai tribunali; quelli inglesi hanno dato torto, ma anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (che non è un organismo dell’Unione Europea) ha confermato quel verdetto: devono rassegnarsi, dicono. I referti medici parlano chiaro, parere sfavorevole.

Eppure i genitori attraverso una pubblica sottoscrizione – #charliesfight – cui hanno aderito in oltre 100 mila, hanno raccolto una somma ragguardevole, oltre un milione di sterline, per tentare una terapia ancora sperimentale negli Stati Uniti.

Niente da fare, non è permesso.
Sono certo che le Corti abbiano ragione: non ci sono chance, la patologia è ormai troppo avanzata.
Ma questo caso ci pone molte domande e ci impone delle riflessioni.

Io la chiamo  ARROGANZA DELLA SCIENZA.
Devo dire che questo atteggiamento emerge ogni tanto nella sanità.
Faccio riferimento ad esempio al fenomeno Di Bella.
Una terapia che anche io ho potuto constatare assolutamente inefficace, non ci sono dubbi.
Ma quello che anche allora ho notato, nella medicina e nei suoi cultori, è un atteggiamento intollerante. E non tanto contro chi prescriveva la “cura Di Bella”, che sarebbe anche comprensibile, ma contro i pazienti.

La stessa intolleranza sembra emergere oggi, nei confronti di un piccolo paziente e dei loro genitori. La terapia sarà sicuramente non appropriata, ma i genitori hanno trovato le risorse per un ultimo disperato tentativo. Non è a carico della collettività, che danno può venirne?
Non servono in questo caso norme sanitarie e giuridiche per giudicare: serve il buon senso, serve il cuore.

Mi viene di pensare a condizioni opposte, in cui invece i familiari, di fronte a patologie lunghe e invalidanti, senza speranza di guarigione , vorrebbero spegnere le macchine, ma in questo caso si trovano di fronte alla negazione giuridica e spesso anche sanitaria di poterlo fare.

Spero che in futuro, di fronte a richieste ragionevoli, come quella per il piccolo Charlie, prevalga il buon senso invece dell’arroganza o la norma sanitario-giuridica. E che a dei genitori sia permesso di fare un tentativo di salvare il proprio figlio, per quanto disperato possa essere.

E d’altro canto che sia permesso ad altri, in condizioni in cui la scienza nulla può più dare, di poter scegliere coscientemente, di limitare o interrompere le cure.
E dunque, che almeno il nostro parlamento approvi la legge sul Testamento Biologico.

Alberto Ravaioli

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