E’ morto ieri a 79 anni Peter Tonti, scrittore, ex consigliere comunale ed artista, auentica memoria di Cattolica. Fra le sue tante pubblicazioni e iniziative, «Al mur di soranòm»: oltre 300 cognomi cattolichini e i relativi soprannomi in dialetto nellapiazza del Mercato Coperto. .
Lascia la moglie Liana e i figli Tiziano ed Emanuela. Lei ha condiviso su Facebook un messaggio affidatole dal padre, il suo estremo saluto alla Regina:
«Ma tut i catulghin chi ma’ suport per tut st’ian parche’, in fond in fond, a so chi ma vlu’ ben… Av salut”.
Lunedì 26 ottobre dalle 10.30 chi vorrà potrà portare un ultimo saluto a Peter Tonti all’ingresso del cimitero di Cattolica; la salma sarà poi cremata.
Chiammicitta.it aveva intervistato Peter Tonti nel 2017. Qui l’articolo di Nicola Luccarelli:
Raccontare storie. Raccontare il nostro quotidiano, ciò che ci succede, semplicemente per comprendere i cambiamenti della società che ci circonda. Questa è la memoria storica, che dovrebbe essere presente e vivida nel cuore di ognuno di noi per capire, una volta per tutte, chi siamo e da dove veniamo. Il sapere appartiene al mondo, l’esperienza solo a pochi: cioè solo a coloro che hanno vissuto pienamente la loro vita, nel bene o nel male. Questi personaggi sono una specie davvero molto rara da scovare, ma per fortuna a Cattolica c’è Peter Tonti, 76 anni. In questo paesone di circa 17 mila anime, tutti conoscono Peter. E se volete scambiarci due parole, potete trovarlo in via Curiel, con la sua Apecar adibita a banchetto, in cui vende piccoli mosconi di legno con tanto di remi, e libri. Tutto realizzato da lui. Eh sì, perché a questo signore piace costruire cose e raccontare il proprio vissuto, la sua storia e quella della sua città: Cattolica. Lo ha fatto pubblicando tre volumi: Genia Catulghina, Da la Ventena in giù e Feisbuccando. E’ una mente creativa Peter, libera e davvero difficile da imbrigliare.
Tonti, lei scrive libri e realizza opere in legno. Si sente più scrittore o artista?
«Non mi sento affatto uno scrittore o un artista, più che altro mi piace raccontare storie. Mi piace condividere con gli altri i ricordi della mia città che amo profondamente per averla vissuta intensamente. A Cattolica sono nato e la mia famiglia qui ha radici antiche. Del resto il mio cognome, molto diffuso in città, lo conferma. Inoltre, a Cattolica vivono la mia famiglia e i miei amici. Purtroppo, gli amici sono sempre meno, perché tanti di loro, che hanno vissuto intensamente come me e con me Cattolica, non ci sono più. Noi che abbiamo vissuto questa città, abbiamo il dovere e la responsabilità di raccontare cosa è stata Cattolica e chi sono stati i suoi tanti protagonisti».
Cos’è per lei la scrittura?
«Sono arrivato a scrivere il mio primo libro, perché conosco tantissime storie della città e dei suoi cittadini. Ricordo che lo stesso Dott. Guido Paolucci, autore di bellissimi libri su Cattolica, mi spingeva a raccogliere i ricordi di coloro che sono appartenuti, come me, alla fascia popolare della città. Già 30 anni fa, a Radio Cattolica, avevo condotto un quiz telefonico le cui domande ripercorrevano la storia dei cattolichini. Fu un programma di grande successo. Fu proprio il prof. Paolucci a darmi alcune copie audio del programma, che lui stesso aveva gelosamente conservato».
Quando ha sentito il bisogno di esprimersi attraverso la scrittura?
«Un tempo le persone si ritrovavano nei bar e raccontavano le proprie storie. Oggi nei bar si va sempre meno e quindi bisogna trovare un altro modo per raccontarle. Scrivere permette di conservare i ricordi, di tramandarli alle future generazioni. Purtroppo la tradizione orale prima o poi si perde. Del resto non solo io ma anche altri hanno sentito l’esigenza di raccontare, scrivendo i propri ricordi».
Per quanto riguarda l’arte, invece? Quando ha iniziato a produrre quei piccoli mosconi in legno?
«Mi è sempre piaciuto fare lavoretti a mano. Ho una grande manualità, mi piace anche dipingere. Il moscone era un mezzo molto diffuso sulle spiagge, ma oggi sta, quasi del tutto, scomparendo. E’ un simbolo della nostra spiaggia. Crearne dei modelli in miniatura è un modo per conservarne la memoria. Scrivere e creare i modelli di mosconi rientrano entrambi nel desiderio che ho di raccontare».
Dai cattolichini viene considerato una sorta di ‘Memoria Storica della città”. Ritiene che abbiano ragione?
«Mi dice Tiziano che, quando si presenta come mio figlio, viene, da sempre immediatamente riconosciuto. Nelle rare volte in cui questo non è accaduto lui stesso ha apostrofato il suo interlocutore dicendo: ma allora lei non è di Cattolica!. Questo perché mi conoscono davvero tutti. Sento di essere molto amato. In particolare Facebook mi ha dato questa conferma, soprattutto quando capita, purtroppo sempre più frequente, di ammalarmi. In questi casi vengo travolto dall’ondata emotiva delle persone che mi scrivono dandomi supporto e sostegno. A Cattolica, di cose ne ho fatte parecchie, e per Cattolica ho dato tanto. Per 10 anni sono stato anche consigliere comunale della città. A fianco del mio grande amico Maurizio Martucci, che sedeva in consiglio a fianco a me, di cose ne abbiamo fatte parecchie. Ci siamo anche divertiti, non lo nego».
In quale sua opera letteraria si sente di aver dato tutto se stesso?
«Direi nel primo, ‘Da la Ventena in giù’. Questo libro trasmette tanti racconti che, anticamente, erano tramandati per via orale. Li ho messi per iscritto, così chiunque può leggerli».
Sta lavorando a qualche altro libro in questo periodo?
«Non in questo momento. Ammetto che sono stanco e scrivere un libro richiede tanta energia, però mai dire mai. Mi piacerebbe scrivere della mia famiglia, lasciare un ricordo di noi ‘Crusin’ (uno dei tanti soprannomi dialettali che distinguevano le antiche famiglie cattolichine, n.d.r), ai miei nipoti. Ne ho cinque, due maschi e tre femmine. Vorrei che sapessero bene da dove e da chi provengono. Vorrei che conoscessero mia madre, la mitica Romanina e anche mio padre Pietro. Entrambi trasportavano il pescato dal porto al mercato. E’ importante ricordare che, tanto tempo fa, Cattolica era un luogo in cui ci si ammazzava di lavoro per pochi spiccioli. E’ bene ricordarlo per non dare per scontato ciò che abbiamo oggi».
Nicola Luccarelli