Ho chiesto a Ivan Gambaccini, Segretario del circolo del Centro Storico, di iscrivermi di nuovo al Partito Democratico. Ne sono uno dei fondatori ai tempi dell’Ulivo, non solo nel senso che avevo sottoscritto l’appello di Prodi, ma anche perché a Rimini, già dal 1992, avevamo aperto il cantiere del rapporto fra sinistra e cattolici nell’azione di governo. Con buoni risultati per la struttura portante della città, così almeno amo pensare.
Negli anni successivi ho vissuto le difficoltà derivanti dall’affermarsi nel PD di tendenze neo-liberiste che, come tutti i “neo”, spesso erano più liberali dei liberali veri, come se dovessero scontare il peccato di essere di sinistra. Il punto di rottura, per me, fu il Jobs Act.
Avvicinandomi oggi al PD, mi sorprende la polemica sottotraccia su una Elly Schlein troppo attenta al tema dei diritti. Mi sorprende perché, in epoca post-ideologica, i diritti rappresentano l’unico collante sociale di cui disponiamo prima di implodere come società evolute. I diritti sono cose che non abbiamo o che non abbiamo a sufficienza (libertà, lavoro dignitoso, libera concorrenza, sanità pubblica, cittadinanza, ecc.) e che una società evoluta ti riconosce e cerca di garantire. Ecco perché i diritti delle coppie gay non sono altra cosa rispetto al diritto ad un lavoro stabile dei giovani.
Ragionando “a rovescio” chiediamoci perché i neo-conservatori mal sopportano la società dei diritti. Non credo dipenda dal tasso di fascistizzazione della nostra Destra che pure esiste ed emerge spesso. Credo dipenda dalla netta opzione per una visione darwiniana della società in cui il più forte (il più ricco, il più dotato di “merito”, il più intelligente, il più feroce, ecc.) deve prevalere sul più debole e garantirgli la necessaria sopravvivenza, a patto che non protesti e non pretenda diritti. Si tratta di un’opzione condivisa da una destra assai ampia che ha in Bannon, Trump, Orban e i polacchi, i suoi alfieri. Bush jr che era un moderato, lo chiamava “capitalismo compassionevole”.
Perché sopravvivenza “necessaria”? Perché altrimenti, se il più “debole” non lavora più e non compera più le merci che il più “forte” immette sui mercati, il giocattolo si rompe.
Il punto debole di questa ideologia sta nella incontenibile spinta alla concentrazione del capitale che sta distruggendo i ceti intermedi della società, amplificandone la proletarizzazione, come già vedeva nel 1848 il filosofo con la barba. Per intenderci quei ceti che dalla Rivoluzione Francese in poi hanno creato le democrazie liberali.
Questa destra mi preoccupa perché è ideologicamente strutturata ed ha solidi riferimenti internazionali. Ed è lontana dallo statalismo del fascismo nostrano (opere pubbliche a debito e piena occupazione). Prende a prestito da Gramsci il concetto di egemonia, rovesciandolo su una base ideologica di tipo neo-conservatore. Dove i vecchi conservatori agivano sulla speranza della crescita economica (la società del benessere), questi agiscono sulla paura prodotta dai cambiamenti sociali. Il “neo” sta ad indicare l’esigenza di ridurre i diritti conquistati dal lungo ciclo socialdemocratico.
Molti osservatori si chiedono come abbia fatto Elly a contendere vittoriosamente la Segreteria del PD. La risposta va cercata nel profondo della società italiana, nel vuoto lasciato dalle ideologie e dalla caduta dei corpi intermedi. E’ a questo “vuoto” che Schlein sembra guardare con i suoi “diritti”, il vuoto dovrà essere riempito con regole ma anche con funzioni e poteri che i territori e le periferie non hanno più. Anche perché in parte sono stati sottratti proprio dai neo-liberali: eliminazione dei Quartieri e delle Province, cesarismo dei Sindaci, crisi delle strutture territoriali dei partiti di massa. Pensiamo soltanto a come sono poco “rappresentati” nella nostra democrazia i diritti trasversali all’ambiente, alla salute, all’equo consumo. Si chiama “vuoto di rappresentanza”, negli anni ’70 era terreno di lotta per le Camere del Lavoro.
Schlein è apparsa abbastanza “moderna” per capire che una rete di diritti può riempire quel vuoto, abitato da individui atomizzati, esposti alle paure, rassegnati a subire i cambiamenti sociali senza agire su di essi.
“Le illusioni sociali cessano nella solitudine”, diceva un lucido Leopardi-politico esattamente 200 anni fa. Per risvegliare la forza di cambiamento delle comunità e/o delle classi sociali, per riaprire il ciclo delle “illusioni sociali”, occorre un lavoro politico che val la pena di praticare in un grande partito come il Partito Democratico e in un’ampia alleanza con forze progressiste.
Giuseppe Chicchi