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Perchè quelli che votano sono sempre meno

Si parla molto in questa campagna elettorale del fenomeno dell’astensionismo. Nelle ultime tornate elettorale il numero degli astenuti è andato via via aumentando. I motivi sono molti ma ruotano attorno a due semplici questioni: a) perché gli abitanti di un paese decidono di lottare per ottenere il diritto di voto; b) perché, una volta ottenuto questo diritto, ci rinunciano in percentuali rilevanti.

Il diritto di voto fu una delle più importanti conquiste del secolo scorso. La riforma del 1912 introdusse in Italia il suffragio universale maschile per i cittadini con più di trenta anni, portando il corpo elettorale a nove milioni circa (di cui 2,5 milioni erano analfabeti). Prima del 1912 il diritto di voto era previsto solo per nobili e borghesi ricchi e acculturati, votavano circa tre milioni su una popolazione di trenta milioni. Il suffragio universale maschile nasceva da due processi storici: a) la nascita della società industriale e dei partiti politici di massa che rappresentavano nuove classi e cittadini consapevoli; b) le guerre coloniali e la Grande Guerra che chiamavano leve militari al rischio della vita e dovevano riconoscere in qualche modo un ruolo attivo del popolo nella gestione dello Stato. Fu dunque una “concessione” ottenuta con la lotta e col sangue.

Le donne in Italia ottennero il diritto di voto nel ’45 e votarono per la prima volta alle amministrative, poi al Referendum sulla Repubblica, nel 1946. Fu il riconoscimento del loro ruolo nella Resistenza, ma anche il segnale simbolico della caduta del fascismo che relegava la donna nella funzione patriarcale di produttrice di figli per la Patria. Nel Sud e nelle Isole la percentuale di donne al voto superò quella dei maschi, nel resto del Paese fu eguale, testimoniando come quella conquista fosse consapevole. Alludendo all’arrivo delle prime schede elettorali, scrisse allora la giornalista Anna Garofalo: “Le rigiriamo fra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane”.
Dunque qualcosa deve essere successo se oggi si prevede un’astensione vicina al quaranta per cento. Mi sono dato queste risposte.

La crisi dei partiti di massa. Certo, sono in crisi i grandi contenitori ideologici, le classi sono state frantumate in mille segmenti, si è detto che non ci sono differenze fra destra e sinistra. A fronte di ciò i partiti sono in crisi in quanto produttori di pensiero condiviso e sono diventati quasi solo macchine elettorali. Forse sarebbe stato utile tradurre gli articoli che la Costituzione dedica ai partiti, in una legge che ne definisse il profilo costituzionale e magari rivalutasse il finanziamento pubblico dei partiti. Così magari non si andrebbe più in giro a chiedere soldi a Stati stranieri. Naturalmente crisi dei partiti equivale a crisi della partecipazione, cioè della possibilità di essere parte attiva nelle scelte che contano per le persone.

La potenza dei media. Ogni giorno il XXI secolo viene raccontato come un mondo dominato dalle leggi di mercato. La politica, come espressione della partecipazione dei cittadini allo Stato, gode di limiti sempre maggiori. E’ condizionata dal debito, dalla disponibilità di energia e di potenza militare e comunque è soggetta a decisioni che appaiono “lontane”. Tutto vero, ma ciò è a sua volta condizionato dal comportamento dei singoli: il debito sarebbe più basso se tutti pagassero le tasse, l’energia va prodotta e consumata in equilibrio, la potenza militare va limitata dalla diplomazia, ecc. Esistono forze che lavorano perché la democrazia si indebolisca, pretendono di decidere come dev’essere la nostra vita. Sta a noi contrastarle, per esempio producendo partecipazione attiva e andando a votare.

La crisi del relativismo. Si sta diffondendo una nuova forma di integralismo che rende difficile accettare i limiti che ogni azione e ogni pensiero contengono. Così, in attesa del “Partito che non commette errori” o del candidato perfetto, si rinuncia al diritto di voto. E’ ovvio che tale Partito e tale candidato non esisteranno mai. Esistono solo partiti “relativamente” migliori o peggiori, dobbiamo capire qual è quello meno “lontano” dal nostro legittimo ma infantile desiderio di perfezione. Il nostro voto a quel partito forse non salverà il pianeta, non migliorerà la nostra esistenza, ma un contributo lo darà.

Giuseppe Chicchi

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