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Perché la provincia di Rimini è diventata la terra promessa di Netflix Italia

Può sembrare un po’ sensazionalistico come titolo, lo ammetto, ma a ben vedere non c’è poi nemmeno troppo campanilismo in un’affermazione del genere: è infatti un dato oggettivo il fatto che le ultime produzioni di Netflix Italia siano tutte ambientate a Rimini e provincia: dal teen movie estivo Sotto il sole di Riccione (ne abbiamo parlato qui, per un’intervista alla sceneggiatrice Caterina Salvadori invece date una letta qua) fino all’ultima serie-documentario Sanpa. Luci e ombre di San Patrignano, passando per quella che abbiamo definito come una grande occasione persa (dato il calibro del regista, Sydney Sibilia, e del cast, che vede tra gli altri sia Elio Germano che Matilda De Angelis), ovvero l’ambizioso film L’incredibile storia dell’isola delle rose.

Sembrerebbero infatti soggetti cinematografici inconciliabili fra loro, che vanno dalle dinamiche del turismo balneare della riviera romagnola alla tossicodipendenza per eroina, passando per l’ingegneria navale e lo slancio utopistico degli anni Sessanta. Ma fra queste storie così distanti, però, vi è anche un’analogia di fondo: ovvero, l’idea comune che sia possibile (specie quando si è giovani) ritagliarsi uno spazio proprio fuori dallo spazio degli altri (come la piattaforma a largo delle acque territoriali italiane), vivere un tempo altro rispetto al tempo della quotidianità (come l’estate che i ragazzi passano sotto il sole di Riccione, una parentesi rispetto al resto dell’anno), e talvolta persino edificare uno Stato dentro lo Stato (come lo sono stati, almeno nelle intenzioni o nella prassi gestionale, L’isola delle rose e la comunità di San Patrignano).

Sembra quasi che Netflix voglia sottolineare agli occhi del pubblico italiano (e in particolare ai più giovani) come in passato nel nostro Paese (e specie a Rimini) sia stato possibile concepire la storia come qualcosa da poter toccare con mano in prima persona, una dimensione concreta da contrapporre alle eteree istituzioni politiche, morali e religiose della classe dirigente. Una storia da riscoprire che però non puzza di muffa, insomma, e che non è fatta di guerre partiti e sindacati, e neppure di parrocchie o saghe famigliari, ma solo e soltanto di relazioni interpersonali fra quelli che in sociologia vengono chiamati gruppi dei pari (o che, perlomeno, si presentavano come tali all’inizio): una prassi politica dove, cioè, alla legge del padre subentra quella della fratellanza, alla gerarchia dell’istituzione l’assemblea degli amici, dei compagni di ventura o di sventura, e alla verticalità dei rapporti generazionali l’orizzontalità della programmatica e costante condivisione fra coetanei.

È un’idea che ha accomunato e affascinato gente che proveniva da milieu culturali molto diversi fra loro, da sinistra come da destra, e che esemplifica meglio di molte altre analisi la duplice crisi che stava deflagrando negli anni Settanta (proprio nel lasso di tempo che intercorre fra la realizzazione dell’isola delle rose, nel 1968, e la fondazione di San Patrignano, nel 1978): ovvero il collasso dell’istituzione famigliare come fondamento della società e il fallimento della politica di fronte alle sfide del capitalismo globalizzato: due fattori di cui subiamo le conseguenze ancora oggi.

Un altro fattore è poi ovviamente rappresentato dalla location, che apre e chiude il cerchio: la Romagna, dove i sogni diventano realtà, e l’Università di Bologna, dove i sogni sono nati (all’Alma Mater ha studiato, non a caso, l’ingegner Giorgio Rosa, ma anche l’ex ospite di San Patrignano Fabio Cantelli o lo scrittore Pier Vittorio Tondelli, le cui opere rappresentano forse la bibliografia più puntuale di questa linea editoriale targata Netflix).

Lo sballo e l’estremismo, l’utopia e l’Aids, la convinzione (tanto fra i banchi di via Zamboni quanto nel lungomare di Rimini) che, almeno a quel tempo, la socialità potesse sostituire la società.

Edoardo Bassetti

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