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Gianfranco Miro Gori: “Rimini nel cinema. Immagini e suoni di una storia ultracentenaria” – Interno 4.

Il “mito” di Rimini è stato alimentato per tutto il Novecento anche dal cinema: “Un luogo dell’immaginario alla costruzione del quale il cinema ha dato un eccezionale contributo”.

Una ricerca sulla memoria audiovisiva emiliano romagnola, curata dalla cineteca del Comune di Bologna, ha censito oltre settanta film di finzione che si riferiscono o alludono – nella loro totalità o limitandosi alla citazione – a Rimini e provincia. Per un confronto: per Forlì-Cesena ne sono elencati 27, per Ravenna 60.

Il libro di Gori, poeta dialettale e storico del cinema, ripercorre questa produzione, a partire da “Rimini l’Ostenda d’Italia” del 1913, attribuito a Luigi Comerio, uno dei pionieri del cinema delle origini, e prodotto dal Grand Hotel, inaugurato nel 1908. Sin da allora “la piccola città di provincia ha una ‘immagine’ esportabile. Vendibile. E’, attraverso il turismo che già la caratterizza, un soggetto dell’industria culturale e del loisir”.

Nel Ventennio Rimini e la riviera romagnola sono presenti costantemente nei filmati dei cinegiornali Luce. Immagini per creare consenso al regime. “E’ l’epoca del duce che in aeroplano viene a trovare la famiglia a Riccione (l’amante alloggiava al Grand Hotel di Rimini), della politica del dopolavoro e delle colonie marine. La spiaggia brulica di figli della lupa, e la riviera stessa si offre come un unico grande divertimento. La macchina propagandistica dei cinegiornali non mostra incrinature: tutto funziona alla perfezione al riparo della pax mussoliniana: ordine e pulizia”.

Per il dopoguerra Gori si pone una domanda: “Perché una città di provincia diventa un soggetto privilegiato del medium novecentesco per eccellenza? Anzitutto, ovviamente, il caso. A esso aggiungerei che Rimini non è soltanto una città di provincia come tante. Ma d’estate si trasforma; diventa – assieme alle località vicine – una metropoli. Non basta. Il turismo individua nel cinema un veicolo propagandistico; e il cinema trova nel turismo un soggetto da sfruttare”. E poi ci sono Federico Fellini e Tonino Guerra.

Fra il 1946 e il 1950 sono quattro i film “riminesi”; negli anni Cinquanta sono sei; negli anni Sessanta e Settanta sette per ogni decennio; negli anni Ottanta diciotto; negli anni Novanta oltre venti; dall’inizio del nuovo millennio tredici.

Vediamo dunque questi film “riminesi”, almeno i più famosi. “Per assistere al primo film narrativo ‘dedicato’ interamente a Rimini occorrerà attendere il 1953. Quando Federico Fellini gira ‘I vitelloni’. L’ambientazione reale è altrove. A Ostia per l’esattezza. Il racconto e i personaggi, però, sono inequivocabilmente riminesi”.

Poi “Estate violenta” del 1959 di Valerio Zurlini. “Ambientato a Riccione, inaugura il filone balneare, anche se la storia si svolge in periodo bellico e in un momento cruciale, il luglio del ’43, quando il peso della grande storia incombe sulle vicende quotidiane dei vacanzieri riccionesi”.

E poi “L’ombrellone” del 1965 di Dino Risi, uno dei padri della commedia italiana, girato a Riccione nel pieno della stagione turistica: “tutta una serie di luoghi comuni che Risi mette insieme per dare l’idea di una vacanza quanto meno caotica”.

“La prima notte di quiete” del 1972 ancora di Zurlini. Un film tutto riminese, fuori stagione quando non c’è l’esplosione del turismo estivo. “Mare grigio. Cielo di piombo”. Il personaggio centrale è Daniele Dominici (l’interprete è Alain Delon). “E’ venuto ad insegnare nel liceo locale … Troverà a Rimini la morte”.

“Amarcord” del 1973 di Federico Fellini: “Partorito dai ricordi di Fellini e Guerra, non è il film della Rimini turistica. Né tanto meno dell’ospitalità”. Il nome Rimini non compare mai, nonostante il film sia la “summa della riminesità romagnola”.

Film emblematico degli anni ’80 “Rimini, Rimini” del 1987 di Sergio Corbucci. “Non più la spiaggia, il mare al centro dell’offerta ma i divertimenti che il luogo è capace di proporre in gran copia: le discoteche in particolare”.

“Vesna va veloce” del 1996 di Carlo Mazzacurati: nella riviera del turismo arrivano le prime ondate migratorie, in particolare dai paesi dell’est europeo.

“Da zero a dieci” del 2002 di Luciano Ligabue in cui “Rimini diventa il tema ossessivo di una serie di discorsi che percorrono il film. Rimini è questo e quello; ci puoi fare una cosa e l’altra”.

Al saggio di Gori si affianca l’approfondimento di Marco Bertozzi, documentarista e storico del cinema, dedicato a “Rimini nel cinema documentario”. Bertozzi è anche l’autore dei film documentari “Rimini Lampedusa Italia” del 2004 e “Cinema Grattacielo” del 2017.

Altri titoli documentaristici richiamati degli ultimi anni: “Insulo de la rozoj. La libertà fa paura” del 2009 di Stefano Bisulli e Roberto Naccari che ricostruisce la storia dell’Isola delle Rose; “C’era una volta, a Rimini, la Fornace Fabbri” del 2007 di Manuela Fabbri; “In difesa delle sacre immagini” del 2018 di Davide Montecchi sulla scuola pittorica riminese del ‘300.

Bertozzi inoltre riscopre i film documentari prodotti dalla Unitelefilm, la casa di produzione legata al Partito Comunista Italiano, su Rimini negli anni Sessanta: “Rimini la nostra città” del 1965 di Giuseppe Ferrara che “rievoca la storia di Rimini e la partecipazione dei suoi cittadini alla lotta per la democrazia”; nel 1970 Alberto Severi realizza “Rimini 70”, “un documentario sull’attività amministrativa comunale” con un protagonista centrale, il Sindaco Walter Ceccaroni, e “Rimini, uno spazio per l’uomo”, che “mostra non la solita Rimini turistica, ma il centro storico e i suoi monumenti”.

Paolo Zaghini

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