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Per tornare umani non ci basta Netflix

Non so voi, ma io in questo weekend speravo di tornare al cinema. O meglio: un mese fa pensavo che il weekend del 27 marzo sarebbe stato quello in cui sarei tornata al cinema. L’aveva detto il presidente del Consiglio, quello di prima, e io ci avevo creduto, anche se pure allora mi sembrava una promessa un tantino ottimistica, visto che i contagi e i decessi continuavano a crescere e la campagna vaccinale era già in alto mare.

Però vuoi non fidarti di un premier più noto per la facilità a chiudere che per quella di riaprire? “In verità, in verità vi dico, il 27 marzo sarete tutti seduti davanti a un grande schermo con il popcorn in mano a guardarvi Justice League Snyder’s Cut.” Ma la speranza è durata solo qualche giorno, e ieri, incrociando in piazza Cavour la manifestazione “Noi non siamo invisibili”, promossa dai lavoratori della cultura e dello spettacolo, mi resa conto che la data fatidica era diventata una beffa crudele.

Tanto più che si sta facendo concretamente strada l’ipotesi di restare zona rossa almeno fino alla fine di aprile. E quindi non si potrà non solo tornare al cinema e a teatro, ma nemmeno in palestra, in piscina, dal parrucchiere e dalla manicure. Tutti in casa, ancora, mollicci, con la ricrescita e lo smalto semipermanente scheggiato, a guardare film e serie in streaming domandandoci fino a quando potremo permetterci l’abbonamento alle piattaforme.

A pensarci bene, nella cricca di superpotenti additati dai complottisti come artefici occulti della pandemia, oltre a Soros e a Bezos andrebbe inserito anche il co-Ceo di Netflix Ted Sarandos (altro cognome finisce per -os. Un caso? Io non credo). E, ovviamente, anche i boss delle altre piattaforme, su cui da un anno a questa parte sono necessariamente migrati anche gli ultimi aficionados dei film in sala.

Per vedere le ultime novità in periodo di restrizioni, e salvare l’industria del cinema dal totale collasso, bisognava arrendersi allo streaming. Ma poi, quando hai Netflix, perché non mettere il naso anche nelle serie di cui tutti parlano e che finora, per snobismo, avevi evitato? Il lockdown ha fornito l’alibi perfetto per abbuffate di fiction che hanno modificato pesantemente il nostro modo di fruire il cinema. E ora Sarandos si frega le mani e, come i villain megalomani dei film, tipo Thanos degli Avengers, fa proclami superbi con un piede posato sul cadavere del nemico abbattuto: «Bisogna seguire quello che il pubblico vuole,» ha dichiarato in un’intervista, riferendosi ai gestori dei cinema, «e se il pubblico non si presenta più in sala ma è più interessato a vedere i film a casa, ti devi adattare».

Inutile, gongola il boss di Netflix, sprecare soldi per incentivare la visione in sala quando la gente si è abituata a restare in poltrona. Ecco, se il mondo del cinema funzionasse con le regole dei film, questa sarebbe la fanfaronata che il cattivo spara a metà del secondo tempo subito prima della riscossa vittoriosa dei buoni. Nel nostro caso, la trama prevederebbe che grazie alle vaccinazioni il mondo torni alla normalità e gli esseri umani, sollevati e risanati, di tutto abbiano voglia tranne che di passare altro tempo col telecomando in mano sul divano usurato dai loro sederi in un anno e passa di confinamento.

Cinema, teatri, arene estive, circo, mostre d’arte, va bene tutto, purché sia dal vivo e senza il filtro di uno schermo. Fantasie a parte, con buona pace di Sarandos, non sarebbe la prima volta che il piccolo schermo sembra avere la meglio sul grande schermo, che però alla fine tiene duro, grazie a una magia che nessun televisore, per quanto extralarge, riuscirà mai a trasmettere.

Una magia buona che ci fa tornare bambini con gli occhi spalancati e il fiato sospeso, insieme ad altre decine di persone sedute vicino a noi. Emozione, meraviglia, socialità: i tre ricostituenti di cui avremo bisogno per ritornare umani.

Lia Celi

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