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Papa Francesco riceve i sindaci, c’è anche Jamil Sadegholvaad – FOTO

“Una giornata speciale, un incontro emozionante. Dalla parole di Papa Francesco un invito ai noi sindaci all’ascolto delle nostre comunità e uno stimolo per costruire la ripartenza del Paese”. Così il Jamil Sadegholvaad dopo il suo incontro con Papa Francesco.

Il primo cittadino di Rimini faceva parte di una delegazione dell’Anci, Associazione di Comuni italiani, che ogg sabato 5 febbraio è stata ricevuta in Vaticano dal Pontefice.

“Io pregherò per voi sindaci e per le vostre Comunità, ma anche voi pregate per me, perché anch’io sono Sindaco di qualcosa…”, ha detto Papa Francesco durante l’udienza.Come riferisce Vatican News, il prezioso anche se faticoso lavoro delle istituzioni comunali al fianco della gente in due anni di pandemia, è lo spunto per il Papa per rivolgere il suo incoraggiamento ai primi cittadini, rappresentati dall’Anci, Associazione nazionale dei Comuni italiani. Tre le parole chiave: paternità o maternità, periferie e pace

L’incontro con l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani è l’occasione, per Francesco, per ringraziare tutti i sindaci, in particolare, per il loro lavoro in questi due anni di pandemia. Ricevendoli in udienza il Papa evidenzia quanto la loro presenza, a garanzia del rispetto delle norme, sia stata determinante per incoraggiare “le persone a continuare a guardare avanti”, e ricorda l’aiuto che i primi cittadini hanno offerto ai responsabili legislativi perché prendessero decisioni tempestive per il bene di tutti.

Solidarietà e non solo finanze per risolvere i problemi
Il Pontefice non manca di riconoscere e sottolineare quanto complesso sia il compito cui i sindaci sono chiamati tra “consolazioni” e “difficoltà”: stare vicino alla gente a servizio del bene comune, ma al contempo sentire “la solitudine della responsabilità”. E osserva come spesso “la democrazia si riduca a delegare col voto, dimenticando il principio della partecipazione, essenziale perché una città possa essere bene amministrata”. Francesco considera che “si pretende che i sindaci abbiano la soluzione a tutti i problemi”, che tuttavia “non si risolvono solo ricorrendo alle risorse finanziarie”, e spiega: “Quanto è importante poter contare sulla presenza di reti solidali, che mettano a disposizione competenze per affrontarle! La pandemia ha fatto emergere tante fragilità, ma anche la generosità di volontari, vicini di casa, personale sanitario e amministratori che si sono spesi per alleviare le sofferenze e le solitudini di poveri e anziani. Questa rete di relazioni solidali è una ricchezza che va custodita e rafforzata”.

Sognare una città migliore è indice di cura sociale
Tre le parole di incoraggiamento proposte all’Anci: paternità – o maternità -, periferie, pace. Francesco evidenzia, anzitutto, che “il servizio al bene comune è una forma alta di carità, paragonabile a quello dei genitori in una famiglia” e suggerisce che “anche in una città, a situazioni differenti si deve rispondere con attenzioni diversificate”, ascoltando i problemi delle persone e cercando di “capire le priorità”, senza concentrarsi sulla “necessità di finanziamenti adeguati”.

In realtà, occorre anche un progetto di convivenza civile e di cittadinanza: occorre investire in bellezza laddove c’è più degrado, in educazione laddove regna il disagio sociale, in luoghi di aggregazione sociale laddove si vedono reazioni violente, in formazione alla legalità laddove domina la corruzione. Saper sognare una città migliore e condividere il sogno con gli altri amministratori del territorio, con gli eletti nel consiglio comunale e con tutti i cittadini di buona volontà è un indice di cura sociale.

Dalle periferie si vede meglio la totalità
Non manca il pensiero per le periferie. Francesco ne sottolinea la centralità evangelica, rammentando che Gesù è nato in una stalla a Betlemme ed è morto fuori dalle mura di Gerusalemme sul Calvario. E se sovente i sindaci si trovano dinanzi a “periferie degradate, dove la trascuratezza sociale genera violenza e forme di esclusione”, partire dalle periferie, da dove si vede meglio la totalità, suggerisce il Pontefice, “non vuol dire escludere qualcuno”, ma “partire dai poveri per servire il bene di tutti”: “Non c’è città senza poveri. Aggiungerei che i poveri sono la ricchezza di una città. Questo a qualcuno sembrerebbe cinico: no, non è così; ci ricordano – loro, i poveri – ci ricordano le nostre fragilità e che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ci chiamano alla solidarietà, che è un valore-cardine della dottrina sociale della Chiesa, particolarmente sviluppato da San Giovanni Paolo II”.

Il lavoro “unzione di dignità”
Il Papa cita poi, in particolare, nel contesto sociale emerso in tempo di pandemia: “solitudini e conflitti all’interno delle case”, “il dramma di chi ha dovuto chiudere la propria attività economica, l’isolamento degli anziani, la depressione di adolescenti e giovani, l’aumento dei suicidi, le disuguaglianze sociali che hanno favorito chi godeva già di condizioni economiche agiate, le fatiche di famiglie che non arrivano a fine mese”, il rischio di finire nelle mani degli usurai. Ed è forte l’invito del Pontefice ad aiutare le periferie, perché si trasformino “in laboratori di un’economia e di una società diverse”. Perché, fa notare Francesco, “non basta dare un pacco alimentare”; la dignità di chi è nel bisogno chiede, invece, un lavoro, “un progetto in cui ciascuno sia valorizzato per quello che può offrire agli altri”, poiché il lavoro, “guadagnare il pane”, “è unzione di dignità”.

La politica palestra di dialogo fra culture
Infine lo sguardo del Papa si sofferma sulla conflittualità sociale. “C’è un compito storico che coinvolge tutti”, rimarca, “creare un tessuto comune di valori che porti a disarmare le tensioni tra le differenze culturali e sociali”, e indica ai sindaci che la politica “può essere una palestra di dialogo tra culture, prima ancora che contrattazione tra schieramenti diversi”, ma soprattutto che “la pace non è assenza di conflitto”, “ma la capacità di farlo evolvere verso una forma nuova di incontro e di convivenza con l’altro”. Per Francesco ci si può porre davanti a un conflitto anzitutto accettandolo e poi risolvendolo e trasformandolo “in un anello di collegamento di un nuovo processo”. Il conflitto, aggiunge il Pontefice, “è pericoloso se rimane chiuso in sé stesso” e non va confuso con la crisi, che invece è buona, perché porta a risolvere e fare passi avanti. Semmai “cosa cattiva è quando la crisi si trasforma in conflitto e il conflitto è chiuso”. Il conflitto è guerra, prosegue Francesco, ed “è difficile che trovi una soluzione, per questo occorre fuggire dai conflitti ma vivere le crisi.

La pace sociale è frutto della capacità di mettere in comune vocazioni, competenze, risorse. È fondamentale favorire l’intraprendenza e la creatività delle persone, in modo che possano tessere relazioni significative all’interno dei quartieri. Tante piccole responsabilità sono la premessa di una pacificazione concreta e che si costruisce quotidianamente.

Ma nel contesto dei rapporti tra i diversi enti istituzionali, il Papa richiama “il principio di sussidiarietà, che dà valore agli enti intermedi e non mortifica la libera iniziativa personale”.

L’insegnamento di S. Giovanni Crisostomo: spendersi per gli altri
Terminando il suo discorso, Francesco incoraggia ancora i sindaci “a rimanere vicini alla gente”, vincendo quella tentazione di isolarsi, di fuggire le responsabilità di fronte alla quale, invece, San Giovanni Crisostomo “esortava a spendersi per gli altri, piuttosto che restare sulle montagne a guardarli con indifferenza”. “Un insegnamento da custodire”, soprattutto nello scoraggiamento e nella delusione, conclude il Papa, impartendo ai sindaci la propria benedizione.

 

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