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Ospizio lager a Mondaino, il racconto della coordinatrice sanitaria che ha denunciato gli orrori

Il racconto di quello che fino a pochi giorni fa nella casa protetta “La Collina”, sequestrata il 13 dicembre dai Carabinieri del Nas di Bologna, si arricchisce ogni giorno di nuovi e inquietanti particolari. I militari avevano già fornito un quadro già abbastanza dettagliato degli orrori che accadevano nelle mura dell’ospizio di Mondaino: un lager nel vero senso della parola, dove gli ospiti, anziani non autosufficienti e talvolta sofferenti per patologie psicomotorie anche molto gravi, venivano sottoposti a ogni tipo di vessazione. Dalle percosse alle minacce fino alla tremenda costrizione di dover dormire in mezzo alle loro stesse feci e urine.

In questi giorni la versione fornita dai Carabinieri va arricchendosi delle testimonianze di chi, in quella struttura, ci ha lavorato o di chi ci era riuscito a entrare per i più svariati motivi. Tutti i racconti confermano la trama già tessuta dagli inquirenti e degli agenti.

Annarita Mauriello lavora come coordinatrice sanitaria. È Presidente del comitato civico “Rispetto” nella Repubblica di San Marino. All’inizio di quest’anno, dopo aver sostenuto un colloquio con Maria Luisa Bulli, la cinquantasettenne titolare de “La Collina” arrestata il 13 dicembre e indagata per maltrattamenti e abbandono di incapaci, era stata chiamata a lavorare all’interno della casa protetta di Mondaino. Anche grazie alla sua testimonianza, le indagini coordinate dalla Procura romagnola hanno permesso di smascherare le drammatiche vessazioni cui sono stati sottoposti in tutto 50 anziani, ospiti della casa protetta.

Annarita Mauriello. Le va di raccontarci che cosa ha visto nell’ ospizio lager di Mondaino?

“Ho lavorato nella casa protetta di Mondaino per due mesi. In qualità di coordinatrice sanitaria ero stata chiamata per mettere in ordine alcune problematiche che erano emerse all’interno della struttura. Nel mio lavoro è una routine, ma quello che è emerso in quelle poche settimane di lavoro non erano problemi all’ordine del giorno, quelli con cui molte strutture hanno a che fare per i più svariati motivi. Perché io e chi come me era stato chiamato a svolgere professionalmente il proprio lavoro, come il dottor Arangio, abbiamo visto con i nostri occhi quello che tutti hanno raccontato. Ma non potevamo tollerare che le cose continuassero così. Abbiamo denunciato alle autorità competenti per rispetto della nostra deontologia professionale. Noi non potevamo fare come altri infermieri e operatori sanitari, che sono scappati, alcuni anche solo dopo pochi giorni di lavoro, in preda ad un comprensibile shock, ma anche per il fatto che non erano malpagati e impiegati in una struttura dove non era possibile svolgere seriamente la propria attività. La Bulli, per altro,  durante il colloquio precedente all’assunzione, mi aveva detto che nella struttura c’erano molte problematiche legate alla condotta degli operatori”.

Cinque, tra operatori sanitari e infermieri, sono stati indagati dalla Procura e sottoposti a misura cautelare. Quindi oltre quelli che inorridivano e scappavano, c’erano anche i complici. Come è potuto accadere?

“Si tratta di personale che vive in condizione economiche disperate e non è una giustificazione. Pur di avere un pezzo di pane da mangiare anche se malpagati e un tetto sotto cui dormire, alcuni dipendenti erano diventati aguzzini della metodologia da ospizio lager imposta dalla Bulli. Picchiavano, minacciavano i pazienti lasciandoli soli a sé stessi. A volte erano anche in un numero risibile rispetto a quello elevato degli ospiti, che spesso riuscivano a scappare dalla casa. I cancelli esterni impiegavano infatti cinque minuti per chiudersi e anche questa era una violazione delle norme di sicurezza. Nessuno controllava che qualcuno uscisse. Per altro è difficile pensare che nelle abitazioni circostanti nessuno si fosse accorto che questi pover degenti spesso venivano lasciati a loro stessi anche all’esterno”.

C’è qualche episodio in particolare che vuole raccontare e le è rimasto impresso?

“Al risveglio, al momento del primo pasto accadeva qualcosa di inquietante. La colazione veniva servita dalla stessa Bulli, che si presentava con i capelli lunghi sciolti, in barba a qualsiasi norma igienica. Serviva ai pazienti latte e pane e biscotti spesso scaduti. Arrivava a costringerli a bere 4 o 5 tazze di latte. Questo perché a pranzo non avessero fame. Per risparmiare, quindi. Il problema è che il latte è indigesto a molti pazienti anziani e veniva vomitato. Il tutto in una cornice orrida. Mangiavano tra le feci e le urine a cui poi si aggiungeva anche il vomito. I cuochi arrivavano ma non sapevano cosa cucinare. E a volte ai fornelli ci finiva la ragioniera della Bulli, anch’essa al corrente degli orrori cui accondiscendeva tacitamente. Del resto non era l’unica incompetente al servizio nella struttura. Il fratello della titolare si occupava di sistemare i pannoloni in uno spazio dedicato e in più non si per quale motivo si era intascato le chiavi delle finestre che non potevano essere aperte. Così come il riscaldamento non poteva essere acceso e i pazienti erano costretti a dormire e deambulare sotto temperature rigidissime. Altro particolare che ricordo bene è la mancanza di sponde ai letti. Servono di norma per impedire che i pazienti cadano dal letto di notte. E poi ancora… i medicinali di primo soccorso non sufficienti. Provi a immaginare cosa sarebbe successo in caso di emergenza? La Bulli si rifiutava persino di pagare le ambulanze”.

Ora che nell’ospizio lager posto sotto sequestro tutto sembra essere finito si sente più serena? Del resto la sua denuncia è stata fondamentale…

In verità io mi chiedo come sia stato possibile che una persona già accusata e condannata sia potuta tornare a compiere gli stessi orrori. La Als deve fare controlli più mirati e più urgenti. Non basta una visita degli ispettori, talvolta, sa, è facile per i gestori e per i dipendenti mettere tutto in ordine prima del loro arrivo e poi ricominciare a fare le stesse orribili cose di prima subito dopo”.

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